Cento
11 Ottobre 2017
Nel processo per la morte dell’imprenditore Mortilli chiamati a testimoniare anestesista e medico dell'emergenza che provarono a rianimarlo

Morì nel poliambulatorio, l’adrenalina somministrata troppo tardi

di Daniele Oppo | 3 min

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Cento. L’iniezione di adrenalina arrivò probabilmente troppo tardi, quando ormai non c’erano più speranze per Giuseppe Mortilli, imprenditore edile di 36 anni, morto per un arresto cardiaco nel poliambulatorio “Villa Verde” il 24 marzo 2015.

Per quella morte sono imputati due medici con l’accusa di omicidio colposo: l’urologo l’urologo Emmanuele Vece (difeso dall’avvocato Michele Ciaccia) e l’ortopedico Roberto Biscione (difeso dall’avvocato Marco Linguerri) e nell’udienza di martedì 10 ottobre sono stati sentiti i due medici – un medico dell’emergenza e un anestesista – che intervennero quel giorno, cercando di rianimare Mortilli.

Il dramma avvenne nell’ambulatorio di Vece, dove l’imprenditore si era presentato a causa di una febbre persistente che lo aveva colpito dopo un’operazione all’uretra. Il medico gli somministrò un antibiotico, il Ceftriaxone Disodico, che poco dopo – secondo la consulenza fatta eseguire dalla procura – gli provocò uno shock anafilattico e il conseguente arresto cardiaco fatale. Biscione intervenne sentendo del trambusto e chiamò subito un medico di Rianimazione per intervenire: il dottor Antonio Dall’Olio, chiamato a testimoniare e che ha riferito che dalla chiamata avvertì l’urgenza di un intervento ma non l’emergenza.

Quando arrivò – circa 4-5 minuto dopo la chiamata – la scena che gli si presentò davanti era l’uomo disteso a terra «già in arresto cardiaco e profondamente cianotico, dalla testa alla cintola, flaccido» e sopra di lui il dottor Vece che eseguiva «con energia» un massaggio cardiaco nel tentativo disperato di rianimarlo. Gli diede il cambio, insieme usarono il defibrillatore che indicava ai due medici di proseguire con il massaggio e, dunque, l’impossibilità di procedere con la defibrillazione. Secondo l’anestesista, a quel punto sarebbe stato praticamente inutile l’uso dell’adrenalina, che è il farmaco principe da utilizzare in un caso come quello, di ‘asistolia’, ovvero di arresto delle contrazioni dei ventricoli. Situazione d’intervento enormemente complicata – ha spiegato il medico – anche dalla forte obesità del paziente, per questo si alternarono: «Sono situazioni in cui è difficile massaggiare, intubare e repertare una via periferica» per la somministrazione di farmaci: «Ci voleva una persona dedicata nell’immediato» per trovarla.

Chi arrivò dopo di lui – e degli operatori degli operatori del 118 – verso le 16,30 fu il medico dell’emergenza, il dottor Braga, sentito anche lui come testimone. Anche lui vide la condizione in cui versava Mortilli e prese in mano la situazione, somministrando immediatamente al paziente l’adrenalina e procedendo con il massaggio cardiaco e l’intubazione. Tutto inutile. Braga ha spiegato che in casi come quello, ovvero di asistolia, l’uso dell’adrenalina è l’intervento raccomandato dai protocolli internazionali, ma ha anche spiegato che si tratta di una competenza specifica di chi si occupa dell’emergenza che non tutti i medici potrebbero avere. Di sicuro dopo quell’episodio – ma dall’udienza non si è capito se causa sua – la struttura sanitaria ha adottato un protocollo che i medici e gli operatori devono seguire per gestire casi simili.

La tesi dell’accusa è che i due medici imputati non riconobbero subito lo stato di shock anafilattico indotto dal farmaco e, dunque, non somministrarono per tempo l’adrenalina che avrebbe potuto salvare l’imprenditore.

I due imputati verranno sentiti nella prossima udienza, fissata per fine ottobre, e nella prossima ancora sarà il turno dei consulenti tecnici.

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