Attualità
15 Marzo 2017
Il ricordo commosso di Rosaria Cascio, allieva del parroco assasinato a Palermo

Don Puglisi, un pifferaio magico che suonava contro la mafia

di Redazione | 3 min

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Don Puglisi è stato un animatore vocazionale: testimoniava i valori in cui credeva e per i giovani ha rappresentato un esempio di coerenza”. E ancora: “Era come un pifferaio magico e come me sono cresciuti tanti ragazzi, ti ascoltava in silenzio e come un parafulmine assumeva le tue emozioni senza mai dire ‘io farei così’”. È questo il ricordo ricco di passione e commozione di Rosaria Cascio, allieva del parroco ucciso dalla mafia, che è intervenuta all’iniziativa di Libera Ferrara per raccontare la vita, la morte, i funerali ma soprattutto i grandi insegnamenti e valori che ha lasciato in eredità.

Voglio restituire i doni che la vita mi ha dato nell’avere conosciuto don Puglisi” introduce Cascio, prima di ricordare il momento in cui lo ha conosciuto: “L’ho incontrato a 14 anni e mi faceva da insegnante al liceo – afferma l’allieva del parroco ucciso -. Mi ha chiesto di seguirlo nei suoi gruppi giovanili anche se mio padre non era molto convinto perché erano ancora una cosa che si conosceva poco”. Quello con Puglisi viene definito “un incontro che mi ha cambiato la vita, è stato speciale. Con lui altroché preghiere e schemi rigidi, si viveva e si capiva la propria vita poi sì, c’erano anche le preghiere, ma non si potevano considerare attività preponderanti rispetto all’esperienza di condividere la vita con gli altri”.

Oggi anche Rosaria Cascio è diventata insegnante e nel suo mestiere sostiene di “applicare lo stesso metodo di Puglisi. Mi presento ai miei ragazzi dicendo ‘io esigo rispetto alla condizione che la prima a rispettarvi sia io’ ed in questo modo si rovescia il rapporto perché i giovani non ne possono più di adulti che sanno tutto loro ed invece hanno una vita che è lo specchio di una società distrutta”. Ma non solo: “Io devo essere la mia parola, sono pochi i momenti in cui poter essere credibile e se riesco ad esserlo posso costruire adulti migliori, questo per me è stato Puglisi – dice Cascio -. Con lui le nostre preghiere non erano sterili ma una scelta e ricordo che ci faceva studiare le altre religioni e riflettere sull’amicizia, la famiglia, l’adolescenza e anche la sessualità assieme ad una psicologa che ci ha aiutato ad affrontarla”.

L’allieva di Puglisi ricorda il suo arrivo a Brancaccio in cui “c’era una faida di mafia e famiglie divise e lui ha parlato fin dall’inizio di perdono ed è riuscito ad entrare nel cuore delle persone, di lui si fidavano perché era credibile. I boss non avevano paura di Puglisi ma di come ha incarnato il Vangelo, lo predicava ma lo era anche”. Secondo Cascio “a Brancaccio la mafia controllava tutto ma Puglisi ha capovolto la mentalità con gesti semplici come portare al mare bambini che non lo avevano mai visto. Non era un eroe ma una persona normale come le cose che faceva e non è spuntato come un fungo, va riconosciuto il gran lavoro anche al suo predecessore padre Rosario”.

Arriva poi il momento più duro da mandar giù: “Ho scritto un libro per raccontare come il giorno dopo la morte la sua memoria sia stata violata – chiosa Cascio -. Mi ha fatto male vedere le sue reliquie girare per la città ed è stata l’unica cosa che la chiesa di Palermo ha fatto per lui e posso dire che la curia lo ha abbandonato e tradito e tutte le sue attività sono state lasciate”. “Abbiamo preteso e siamo riusciti a fare i funerali a Brancaccio con i cori e le preghiere che piacevano a lui” ricorda Cascio, concludendo che “la mafia non ha capito che deve avere paura delle scuole che applicano nei fatti e non a parole l’antimafia, seguendo la strada di don Puglisi”.

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