Economia e Lavoro
24 Dicembre 2015
Prime del decreto i commissari non misero veti all'intervento del Fitd ma fissarono solo dei paletti

Carife. La verità dell’Europa

di Daniele Oppo | 4 min

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carifenew 2015 3A un mese di distanza dall’emanazione del decreto “salva banche” che ha permesso – a caro prezzo per azionisti e obbligazionisti subordinati – a Carife e altre tre banche regionali di rimanere in vita, trapela la lettera della commissione europea che secondo il governo, Bankitalia e Fitd avrebbe precluso l’intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi. Ma le cose non stanno esattamente così, ed è l’ennesima smentita delle autorità italiane.

La missiva – firmata da i commissari europei ai Servizi finanziari e alla Concorrenza, Jonathan Hill e Margrethe Vestager – è stata spedita al ministro Pier Carlo Padoan il 19 novembre, appena tre giorni prima del decreto varato in fretta e furia. Una coincidenza di tempi non di poco conto, perché esprime la posizione ufficiale, chiara e in linea con precedenti decisioni (caso Tercas su tutti) della Commissione europea rispetto alle intenzioni palesate dal governo italiano.

L’obiettivo della Ue. I commissari chiariscono primariamente quale sia l’obiettivo principale dell’Ue in tema di salvataggi bancari: “Limitare il supporto pubblico nel settore bancario”. Ma limitare non significa escludere in assoluto e, infatti, i commissari chiariscono ulteriormente: “Nel caso in cui le banche (quelle in crisi, ndr) siano in difficoltà, e il supporto pubblico in qualsiasi forma sia necessario, la direttiva Brrd (Bank Recovery and Resolution Directive) in combinazione con le regole sugli aiuti di Stato, è disegnata per assicurare che il principio della condivisione degli oneri tra i privati sia applicato e che il costo per il pubblico sia il più possibile limitato”.

L’Ue ha vietato l’intervento del Fondo interbancario? Ma, andando al sodo, cosa dicono i commissari rispetto all’intervento del Fitd? È piuttosto chiaro: “Se uno stato membro opta per lo schema di garanzia dei depositi per ricapitalizzare una banca”, cosa ammessa dalle norme Ue, come rilevato dall’Italia e ammesso dai Hill e Vestager,  “è soggetto alle regole Ue sugli aiuti di Stato”. Le alternative a questo punto sono due: “Se la valutazione porta a concludere che l’uso di questo schema è aiuto di Stato, si attiverà la risoluzione della banca secondo la direttiva Brrd (quindi con il bail-in dal 2016 o, come nel caso Carife, con la normativa in vigore dal 2013 ndr)”. Se tale procedura dovesse invece configurarsi come “un puro intervento privato”, allora “non scatterà la risoluzione”, non essendoci aiuti di Stato.

Nessuna imposizione dunque, solo una sorta di elenco delle possibilità ammesse a norma di legge, tanto che i due commissari scrivono: “Pur rispettando il fatto che spetta alle autorità italiane determinare l’approccio politico e i metodi, è chiaro che la Commissione favorirebbe sempre la soluzione private o di mercato, dove possibile, come infatti si riflette nella normativa applicabile”.

Perché l’intervento del Fitd è un aiuto di Stato. Ora, salvare le banche tramite il Fondo interbancario sarebbe stato un aiuto di Stato? I due commissari non lo dicono esplicitamente, ma seguendo quanto successo con Banca Tercas, per la quale venne usata un’identica soluzione, la risposta è sì. Infatti l’Ue avviò immediatamente una procedura d’infrazione, perché nonostante i soldi del Fondo provengano totalmente dalle banche (e dunque siano “privati”), esso è alimentato in base a una norma di legge che impone alle banche di contribuire (il fondo dunque non è volontario). Inoltre il Fitd avrebbe svolto il ruolo di supporto nei salvataggi bancari solo in via secondaria rispetto al proprio fine principale (tutelare i depositi) e su esplicito mandato pubblico e politico. In pratica, la forma “privata” del fondo, nasconderebbe una sostanza di natura pubblica e, dunque, aiuti di Stato.

Il fondo volontario. Ecco, in soldoni, il perché nel caso Tercas venne avviata la procedura d’infrazione, ecco perché una simile soluzione avrebbe con tutta probabilità comportato “aiuti di Stato” anche per Carife, CariChieti, Banca Marche e Popolare Etruria. La conferma arriva anche dalla freschissima affermazione della Commissione proprio sul caso Tercas, per il quale il Fitd ha modificato il proprio statuto per creare un nuovo fondo, questa volta a contribuzione volontaria da parte delle banche: “Se gli attori privati decidono in accordo con i propri obiettivi e con i propri fondi, senza mandato dello Stato, di supportare le banche in difficoltà, non emergeranno problemi nell’ottica degli aiuti di Stato”.

Quest’ultima, probabilmente, sarebbe stata la soluzione meno dolorosa anche per Carife ma il Governo ha preferito il decreto e, dunque, gli aiuti di Stato con conseguente bail-in per azionisti e bondisti. Perché? Qui si possono fare solo speculazioni: il Fitd ha cambiato statuto solo recentemente, molti giorni dopo il decreto salva-banche e solo per sciogliere il nodo Tercas. Ma l’intervento è appeso al reperimento, questa volta volontario, dei 300 milioni necessari per alimentare il nuovo fondo di salvataggio. Al 13 dicembre erano stati raccolti solo il 50% dei soldi necessari e per questo il termine è stato rinviato di una settimana. Un’operazione simile – molto più  onerosa, 3,7 miliardi di euro – sarebbe stata possibile anche per Carife, CariChieti, Banca Marche e Popolare Etruria? Se ne parlava a fine agosto – segno che le istituzioni italiane sapevano a cosa  stavano andando incontro – proprio per Carife. Poi più nulla, fino al “salva banche” e le sue conseguenze di cui nessuno, in Italia, pare voglia assumersi alcuna responsabilità.

 

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