Politica
29 Ottobre 2015
Da partiti e istituzioni attacchi all'Oms e dichiarazioni in difesa del made in Italy. Ma hanno davvero capito il problema?

Carni rosse e politici insaccati

di Redazione | 7 min

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Il sindaco di Bondeno Fabio Bergamini

Il sindaco di Bondeno Fabio Bergamini

di Ruggero Veronese e Daniele Oppo

Politici abbracciati ad allevatori, amministratori locali in visita alle macellerie, patriottici comunicati stampa in difesa della qualità e della salubrità del made in Italy. Scene che nel giro di un giorno e mezzo si moltiplicano in tutta la Penisola e che ovviamente non potevano mancare nella provincia ferrarese, terra simbolo di salama, maiali e insaccati, sconvolta dalla scontata – ma non per questo meno rumorosa – decisione dell’Oms, che ha inserito le carni rosse nella lista dei carcinogeni probabili e le carni rosse lavorate in quella dei carcinogeni sicuri.

Un discorso tecnico e di buon senso, quello della Organizzazione Mondiale per la Sanità. Tecnico perché circoscrive la questione in maniera definita e precisa. Di buon senso perché non implica alcuno stravolgimento nella nostra dieta e nella nostra cultura: un po’ come per il buon vino, i formaggi, gli alimenti fritti e più o meno tutto quello che – volontariamente o meno – entra nel nostro esofago, basta solo un po’ di moderazione.

Una moderazione che è piuttosto difficile ritrovare nelle reazioni scomposte di istituzioni e politici nostrani, molti dei quali non vedevano l’ora di trovare un pretesto per ergersi a paladini del made in Italy e delle imprese alimentari locali, oggi comprensibilmente preoccupate per le possibili ripercussioni economiche sui loro affari. L’imperativo è difendere il territorio e stemperare ogni allarme. Anche al costo – ne sa qualcosa il sindaco bondenese Fabio Bergamini – di parlare di ‘terrorismo alimentare’, paragonando l’Oms agli jihadisti. Anche al costo di piegare i concetti espressi dall’organizzazione, con il serio rischio di creare disinformazione e confusione nell’opinione pubblica.

Il caso-tipo è rappresentato da chi per rassicurare i consumatori garantisce la qualità della produzione e del trattamento delle carni: un totale fraintendimento della decisione dell’Oms dietro il quale è difficile non scorgere una buona dose di opportunismo politico e istituzionale. Ne sono una prova le decine di articoli che in queste ore circolano su quotidiani nazionali e locali, ma anche le dichiarazioni a Ballarò del ministro dell’agricoltura Maurizio Martina (prontamente sottoscritte dal patron di Eataly Oscar Farinetti), secondo cui “non bisogna fare alcun allarmismo sulle carni: le produzioni italiane sono eccellenti”. Passano poche ore e su Facebook compare il leader regionale della Lega Nord, Alan Fabbri, che si fa fotografare nel retrobottega di una macelleria: “Io sto con chi produce i nostri insaccati e lo fa con qualità. I nostri salumi e le nostre carni arrivano sulle tavole dopo una serie puntuale di controlli e di verifiche. Ogni tipo di eccesso fa male, ma non ci sto ad accettare demonizzazioni e banalizzazioni sui rilievi dell’Oms”.

Ma tutto questo non c’entra nulla con il comunicato dell’Oms, visto che nessuno ha mai messo in dubbio la qualità delle macellerie italiane ma tutt’al più il livello di ‘compatibilità’ tra il corpo umano e le carni rosse. Se 30 o 40mila anni fa ci fosse stata l’Oms, probabilmente i primi a leggere il suo comunicato sarebbero stati i nostri antenati mentre cucinavano una coscia di mammuth allo spiedo. Carne – poco ma sicuro – mai soggetta a conservanti o trattamenti ormonali. Qualità garantita al 100%, ma il discorso non sarebbe cambiato di una virgola.

Il ministro Maurizio Martina a Ballarò

Il ministro Maurizio Martina a Ballarò

Ma la vera boutade della giornata appartiene a un altro esponente del Carroccio: Fabio Bergamini. Il suo ultimo comunicato non sfiora nemmeno i punti tecnici, lanciandosi in un attacco frontale, profondamente politico e ‘patriottico’ contro l’Oms: “No al terrorismo alimentare – afferma Bergamini -. Per quanto ci riguarda l’attacco dell’Oms ai nostri salumi è una guerra di religione: se pensano di scipparci la carne di maiale e le nostre tradizioni alimentari si sbagliano di grosso. L’Organizzazione mondiale della sanità pensi agli Ogm e a ciò che fa veramente male alla salute”. “I dietologi talebani di Ginevra – prosegue il comunicato – portino rispetto e vengano a vedere come si fanno le nostre produzioni d’eccellenza, si ricrederanno. Nessuno si faccia ammaliare dagli jihadisti del cibo. Con il cibo della nostra tradizione si campa cent’anni e più. Non a caso anche la stampa internazionale accredita l’Emilia come eccellenza mondiale del gusto e della cucina”.

Sorvolando sul parallelo tra salutismo e jihadismo, c’è qualcosa di profondamente sbagliato nel modo in cui si sta affrontando il tema. Perchè un conto è evitare gli allarmismi ingiustificati verso le carni rosse, ma un altro – ben diverso – è ‘svuotare’ la notizia dai suoi aspetti tecnici per interessi personali o elettorali. Dire che le carni rosse non sono carcinogene perché la produzione è di qualità è come sostenere che una banca è solida perché l’edificio che la ospita ha buone fondamenta: il problema e la soluzione non appartengono allo stesso ambito logico. L’opinione pubblica ne esce più confusa e impreparata di prima.

Il problema sollevato dall’Oms – ma ben presente a medici e oncologi da almeno una ventina di anni – non riguarda la qualità o la nazionalità della produzione: un salame italiano – magari ‘biologico’ e a km zero – è carcinogeno quanto un salame ungherese; la carne di un maiale allevato a Ferrara (o a Bondeno) è ugualmente carcinogena rispetto a quella di un maiale allevato in Romania.

L'immagine pubblicata da Alan Fabbri via social network

L’immagine pubblicata da Alan Fabbri via social network

Il problema sono la carne rossa in sé e quella lavorata per produrre gli insaccati, non il modo e il luogo con cui e in cui sono stati prodotti. Il report completo non è ancora stato pubblicato, ma la rivista Lancet Oncology ha pubblicato il 26 ottobre un articolo che chiarisce bene quali aspetti siano stati presi in considerazione dallo Iarc (l’agenzia con sede a Lione che ha ‘stilato la lista’) fornendo qualche anticipazione.

“La lavorazione della carne, così come la conservazione e l’affumicamento – scrivono alcuni dei membri del gruppo di lavoro dello Iarc nel testo pubblicato da Lancet – possono portare alla formazione di composti chimici carcinogeni, come composti azotati (ad esempio i nitriti e i nitrati necessari per conservare gli insaccati, ndr) e idrocarburi policiclici aromatici. La cottura migliora la digeribilità e il gusto della carne, ma può anche produrre carcinogeni conosciuti o sospetti […]. Le alte temperature di cottura tramite frittura, cottura alla griglia o barbecue, generalmente producono grandi quantità di queste sostanze”.

Alla fine, dopo aver analizzato oltre 800 studi, “il gruppo di lavoro ha classificato il consumo di carne lavorata come carcinogena per l’uomo (Gruppo 1) sulla base di prove sufficienti. Inoltre, è stata trovata una correlazione tra consumo di carne lavorata con il cancro allo stomaco”. Per quanto riguarda la semplice carne rossa, il gruppo lo ha classificato come “probabilmente carcinogeno per l’uomo (Gruppo 2A)”. “Nel fare tale valutazione – si legge ancora su Lancet -, il gruppo di lavoro ha preso in considerazione tutti i dati rilevanti, inclusi quelli epidemiologici che mostrano una correlazione tra consumo di carne rossa e tumore al colon e dei meccanismi che lo generano. Il consumo di carne rossa – si legge infine – è è stato positivamente associato con i tumori al pancreas e alla prostata”.

A questo punto è necessario capire il significato da attribuire a tale tipo di studi e alle liste dei prodotti (o dei comportamenti) più o meno carcinogeni: non servono per lanciare un allarme o mettere al bando determinate sostanze o cibi. “Questi risultati – ha dichiarato Cristopher Wild, direttore dello Iarc – servono a supportare future raccomandazioni per la salute pubblica per limitare il consumo di carne. Allo stesso tempo, la carne rossa ha un valore nutrizionale. Perciò, tali risultati sono importanti per attivare i governi e le agenzie internazionali di regolamentazione per condurre a processi di assestamento del rischio, bilanciando rischi e benefici del mangiare carne e carne lavorata e fornire le migliori raccomandazioni possibili sulla dieta”.

Tali studi, dunque, servono per identificare il rischio: chi consuma una grande quantità di insaccati – 50 grammi al giorno, secondo un documento dello Iarc – “aumenta la probabilità di ammalarsi di tumore al colon del 18%”, mentre per le carni rosse, anche se è più difficile stabilirlo, le possibilità aumentano del 17% “consumandone 100 grammi al giorno”.

Ma si tratta, appunto, di probabilità, di una quantificazione calcolata su un grande numero di persone che hanno stili di vita molto diversi tra loro, non di sentenze. Poco ci dice sui comportamenti individuali da tenere, se non indicarci che sarebbe molto meglio consumare meno carne e insaccati se ne siamo particolarmente ghiotti e se fanno costantemente capolino nei nostri sacchi per la spesa. “Per una persone – spiega Kurt Straif, a capo del Monograph Programme (quello che stila le liste) -, il rischio di sviluppare un tumore al colon mangiando carne lavorata rimane piccolo, ma il rischio aumenta con l’aumentare della carne consumata. In vista di un numero sempre più grande di persone che mangeranno carne lavorata, l’impatto globale dell’incidenza del tumore è però importante per la salute pubblica”.

L’Oms, in sostanza, ha solo messo un punto fermo su tutte le cose che già si sanno da tempo relativamente ai rischi che corriamo consumando carni rosse e insaccati, ma mangiarci un’ottima salamina o qualche fetta di prosciutto ogni tanto non ci farà venire un tumore. Le parole di politici e istituzioni in cerca di visibilità, invece, hanno come effetto collaterale una buona dose di disinformazione.

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