Cronaca
10 Febbraio 2014
I registi Lerner e Pozdorovkin raccontano la loro storia nel documentario “A punk prayer”

Pussy Riot, la lotta di giovani donne per la cultura e l’arte

di Redazione | 3 min

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“La cattedrale simboleggia l’unione tra Stato e Chiesa, non è così che dovrebbe essere”. Febbraio 2012: uno strano e confuso video appare su internet. Alcune donne con dei passamontagna colorati, abiti e calze altrettanto sgargianti, interpretano con foga un brano punk denso di politica e di collera, davanti agli occhi allibiti delle signore in preghiera con il fazzoletto legato in testa. Il luogo scelto infatti per esibirsi con rime come “Madre di Dio diventa una femminista e liberaci da Putin” è la chiesa ortodossa più importante di Mosca, la Cattedrale di Cristo Salvatore.

Nell’inverno, dopo controverse elezioni, Vladimir Putin si è infatti insediato per la terza volta al Cremlino come Presidente della Federazione Russa e le Pussy riot decidono “attraverso un’azione artistica”, di contrastare queste nuove elezioni mediante un atto di protesta in cattedrale, luogo simbolo per loro di una sbagliata connessione tra potere ecclesiastico e potere civile, oltre che posto in cui si accentua la mancanza di parità tra uomo e donna, sostenendo che “anche le donne dovrebbero poter predicare liberamente dall’altare”. Così Nadia (Nadezhda Tolokonnikova, classe 1989), Masha (Maria Alekhina, 1988) e Katia (Ekaterina Samutsevich, 1982) diventano di colpo famose per aver gridato la loro protesta contro il rapporto sempre più stretto tra lo stato russo di Putin e la Chiesa ortodossa, solo uno dei temi a cuore portato avanti dal loro movimento.

Nel giro di poche ore tre delle ragazze protagoniste della performance si ritrovano in carcere, dando così inizio ad un processo diventato uno show mediatico di proporzioni internazionali, creando una disputa tra chi, da un lato, le appoggia sostenendo la difesa dei diritti inviolabili dell’uomo e della libertà di espressione, e chi, dall’altro, nel comportamento delle ragazze vede atti di blasfemia che offendono i credenti e profanano i luoghi sacri.

unnamedMa chi sono le Pussy riot? I registi Mike Lerner e Maxim Pozdorovkin provano a spiegarlo nel documentario “Pussy riot – A punk prayer” (il cui titolo originale è Pokazatelnyy protsess: Istoriya Pussy Riot), proiettato al cinema Boldini, che parte dalla famosa esibizione delle attiviste nella cattedrale, per poi ripercorrerne il passato – dall’infanzia, alle influenze e agli spettacoli fatti – e le vicissitudini delle ragazze dopo l’arresto. Le Pussy riot sono un gruppo punk femminista, “un movimento naïf, sincero, legato ai temi classici della rivoluzione sessuale, con una componente DIY – Do It Yourself. Se nel mondo sono state percepite come una punk band con messaggi anti-politici, in Russia è stato l’attacco alla sfera religiosa quello che ha causato la reazione così forte”, affermano i registi.

Con la sentenza del 17 agosto 2012 le tre Pussy riot sono state dichiarate colpevoli rispetto ai capi d’accusa di cui erano imputate (“teppismo aggravato dall’odio religioso”) e condannate a 2 anni di reclusione, pari al minimo edittale di pena.

Nel dicembre 2013 si apprende la notizia che, a seguito dell’amnistia approvata dalla Duma russa, anche le ultime due Pussy Riot rimaste incarcerate – Maria Alyokhina e Nadia Tolokonnikova (che era stata trasferita in Siberia per scontare la restante pena in un campo di lavoro) – sono state rilasciate, forse per mettere a tacere le accuse di violazione dei diritti umani che da anni toccano la Russia di Putin.

“L’arte non deve essere uno specchio che riflette il mondo, ma un martello con il quale scolpirlo”. Con queste parole di Vladimir Majakovskij inizia il documentario e con queste si può concludere, cogliendo grazie a questo qualche elemento in più della battaglia targata Pussy riot, la lotta di giovani donne che si schierano per difendere la cultura e l’arte. E la Russia non è mai sembrata così vicina.

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