Un sequestro simulato, orchestrato per vendicarsi del raid e delle violenze subite. E, con ogni probabilità, far cacciare da Ferrara, e dall’Italia, i rivali, portando le autorità a ordinarne l’espulsione. Un piano che si è infranto nelle contraddizioni, fino alla confessione davanti a pm e carabinieri.
La vicenda è quella del sequestro di persona, o apparente tale, seguito al violento raid avvenuto nella notte tra il 16 e il 17 agosto dell’anno scorso, in zona Foro Boario: un vero e proprio assalto compiuto da un gruppo di sei persone contro i due inquilini lì presenti. Gli autori subito dopo il fatto si diedero alla fuga.
La scena presentatasi davanti ai carabinieri fu raccapricciante e allarmante per l’evidente e plateale uso di violenza: la porta d’ingresso dell’alloggio era stata abbattuta, era stato utilizzato del gas urticante contro gli inquilini, la mobilia danneggiata mediante il lancio di pietre, bottiglie di vetro e bastoni. Al termine del raid, gli assalitori avevano lasciato a terra anche una bottiglia molotov, dei coltelli, una pistola scacciacani, insieme a molte tracce di sangue. Di fronte a tutto questo, appariva esservi unicamente un ferito lieve.
I primi elementi investigativi conversero subito su uno scontro tra cittadini tunisini, noti agli uffici di polizia, gravitanti nella zona di via Baluardi.
Ma nelle prime ore il caso vide anche una svolta importante, infatti le due vittime riferirono che con loro vi era un terzo amico, un 42enne, il quale aveva reagito all’aggressione contrattaccando e inseguendo gli assalitori, ma che poi era stato rapito da loro. A prova di ciò riferirono di una telefonata del sequestrato con la quale li aveva informati di essere nelle mani dei rivali, legato a un albero in un luogo sconosciuto.
A quel punto iniziarono le ricerche a tutto campo da parte degli investigatori, con lo sviluppo di un massiccio controllo degli ambienti in cui si muovevano sia le vittime che i sospettati. I risultati della forte pressione maturarono subito: infatti, la sera 18 agosto, il sequestrato – tramite uno dei soci – fece sapere di essersi liberato e ne diede prova con un video girato col proprio smartphone.
A quel punto, quella che era una delle piste investigative già considerate dagli inquirenti diveniva un vero e proprio campanello d’allarme, prendendo realisticamente corpo l’ipotesi della simulazione. L’attenzione investigativa sul gruppo divenne ancor più significativa inducendo il “sequestrato” a presentarsi ai carabinieri, assistito da un legale di fiducia. Il pubblico ministero Andrea Maggioni, supportato dai carabinieri del Nucleo investigativo, evidenziò una serie di contraddizioni sulla versione fornita in denuncia, che portò la sedicente ‘parte offesa’ a confessare la simulazione, posta in essere per vendicarsi degli autori dell’assalto all’abitazione.
Nel progetto – ideato sul momento – aveva sin da subito coinvolto gli altri due appartenenti al proprio “gruppo”, che lo avevano aiutato confermando le false accuse.
Le indagini hanno chiarito che quanto accaduto tra il 16 e il 17 agosto fu solo l’ultimo episodio di uno scontro tra due gruppi di tunisini, con un precedente tra gli stessi risalente alla sera del 15 agosto – con vittime e aggressori a parti invertite – e ancora del mese di giugno 2021 con analogo episodio – con il raid in via Cavedone – nonché del giugno 2020, con un accoltellamento avvenuto in via Baluardi. Quest’ultimo episodio, probabilmente, ha dato lo spunto per il fine ultimo del piano: gli autori (Ayme e Dirar Touati) vennero espulsi in maniera fulminea e forse l’obiettivo era ottenere lo stesso risultato e liberare la piazza.
A conclusione delle indagini, sono stati quindi notificati i decreti di rinvio a giudizio, per cui cinque dei soggetti coinvolti dovranno rispondere dei reati di lesioni aggravate reciprocamente inferte nelle occasioni del 15 e 16 agosto, nonché della violazione di domicilio; mentre tre di loro saranno giudicati anche per la simulazione di reato e la calunnia relative al finto sequestro di persona.
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