Scienza e tecnologia
6 Novembre 2021

Meta: il social che si credeva mondo

di Redazione | 3 min

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di Edoardo Righini

È notizia recente quella che riguarda Facebook, il più famoso social del mondo, e il suo robusto rebranding, che si dovrebbe compiere arrivando persino a cambiarne nome.

Meta, questo è il nuovo nome di un progetto ambizioso, che potrebbe cambiare radicalmente le nostre vite e il concetto stesso di socialità.

In un video dedicato, Mark Zuckerberg ha raccontato la sua visione di futuro, in cui reale, digitale e sociale hanno un rapporto sempre più stretto e integrato all’interno di una dimensione parallela, chiamata Metaverso, da cui Meta, appunto.

È proprio nel Metaverso che il fondatore di Facebook è convinto che si sposterà stabilmente la nostra identità, come una sorta di avatar che è un doppio di noi stessi, reale e digitale nello stesso tempo.

A ben vedere, il Metaverso altro non è che il compimento di un progetto di convergenza iniziato tempo fa da Facebook con altri social network e piattaforme digitali come Whatsapp, Instagram e Oculus, acquistata nel 2014 per essere la base di sviluppo di una realtà virtuale diffusa.

L’obiettivo ultimo è quello di impostare un nuovo tipo di interazioni su internet, in cui ci sarà sempre meno separazione tra la vita reale e quella digitale.

Anzi, la sincronizzazione tra le due sarà tale da permettere di eliminare protocolli, applicazioni, device e tecnologie che rappresentano ad oggi il limite strutturale di questo tipo di esperienze.

L’idea di Zuckerberg è senza dubbio affascinante e sembra in qualche modo in linea con la trasformazione digitale, ormai trasversale a tutti gli ambiti della vita.

Al netto delle questioni tecniche che un progetto del genere implica, le perplessità maggiori sono legate però all’azienda che spinge per la creazione di questa nuova realtà sociale.

Facebook, infatti, non gode di buona fama e ormai da diversi anni vive una crisi reputazionale profonda.

Lo scandalo di Cambridge Analytica prima e i cosiddetti Facebook Papers dopo hanno segnato profondamente l’azienda, che ormai appare l’incarnazione di tutti i vizi delle Big Tech mondiali.

Ha un bel da dire Mark Zuckerberg quando sostiene che la purpose finale di Facebook rimarrà la connessione tra le persone: tra gestioni fiscali opache, atteggiamenti ambigui rispetto alle fake news e perplessità sempre maggiori sull’utilizzo dei dati personali, qualunque operazione intrapresa viene guardata con sospetto.

La sensazione, infatti, è quella di un rebranding urgente, nato da una certa insofferenza (anche del fondatore) rispetto alla sua creatura, diventata più un generatore di pubblicità targetizzate che un luogo di incontro tra persone.

O peggio, in molti temono che questa non sia altro che una nuova gabbia dorata attraverso cui continuare a raccogliere dati e informazioni rilevanti sulle persone, da utilizzare a scopi commerciali e non solo.

È presto chiaramente per giudicare, ma occorre osservare attentamente i prossimi sviluppi, soprattutto per le istituzioni e i governi nazionali, che in questi anni hanno dimostrato una certa incapacità nel prevedere e prevenire i rischi di una socialità digitale così estremizzata.

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