Economia e Lavoro
10 Giugno 2021
Per rilanciare l'economia del territorio serve una politica che abbia in mente "quale futuro vogliamo"

La “zavorra demografica” che impedisce il rilancio di Ferrara

di Redazione | 5 min

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Per riprogettare la Ferrara del futuro voluta dai sindacati è “la zavorra demografica” a venire messa nel mirino nel corso della presentazione, mercoledì mattina alla Camera di Commercio, di un nuovo report di Ires sul tema.

E “la parte demografica è una delle dimensioni che stacca Ferrara dal contesto economico regionale  e che impatta anche sulle osservazioni relative al mercato del lavoro”, come spiega il ricercatore di Ires Gianluca de Angelis.

“Il primo aspetto è legato alla decrescita demografica, con un nuovo picco negativo nel 2020 pari a 0.7%, rispetto a un calo dello 0.32% a livello regionale”, spiega De Angelis, anche se a casa del trend generale “l’incidenza complessiva di Ferrara sulla popolazione regionale resta sostanzialmente invariata”. Nonostante questo a soffrire di più è il distretto sud-est della provincia.

“L’indice di ricambio della popolazione attiva è di 192,7 e continua a crescere, il che vuol dire che per ogni persona che entra nel mondo del lavoro ce ne sono quasi due che stanno per uscirne”. Non solo: “L’indice di fecondità nel ferrarese è di 1,2 figli per donna, con una forte differenza tra gli stranieri (2,04) e gli autoctoni (1,3)”. Ci sono trend simili osservati in Emilia-Romagna, anche se Ferrara rimane, e di molto, sotto la soglia critica di 2,1 figli per donna che garantisce il mantenimento della popolazione corrente, con i due figli che sostituiscono i genitori e un po’ di sovrannumero per far fronte a qualche decesso.

Il 2020, per Ires, “con le sue dinamiche incide su tutte le fasce di età in senso negativo, senza però stravolgere la dinamica complessiva, con una forbice in continua crescita tra over e under 50”.

Sul fronte economico poi il 2020 è stato quello che è stato, incluso già in un contesto di rallentamento della crescita, e “ha colpito tutti i territori, in particolare quelli con una maggiore vocazione all’export, e queste dinamiche investono anche il ferrarese che è agli ultimi posti sia per Pil complessivo, che è il 5.9% di quello regionale, che pro-capite, che a Ferrara è di 26700 euro rispetto a una media regionale di 36700 euro”.

Il calo del Pil ferrarese, dell’8.3% annuo nel 2020, non ha avuto lo stesso impatto su tutti i settori, con quelli dell’industria e dei servizi che hanno avuto i cali più consistenti (-9.5% e -8.3% rispettivamente), mentre hanno tenuto meglio agricoltura ed edilizia. Oltre a questo, il ferrarese rimane scettico sull’export, che vale solo il 3.2% del valore delle esportazioni regionali, e la disoccupazione, nonostante rimanga più alta della media regionale (6.9% contro il 5.7%), diminuisce rispetto al 2019 seppur con pesanti conseguenze sociali per i più giovani: sono loro infatti che hanno perso il lavoro più frequentemente.

I sindacati, quindi, hanno presentato la loro ‘ricetta’ per il rilancio, affidandone la presentazione a Bruna Barberis secondo la quale la pandemia “ha messo in evidenza i problemi strutturali della nostra provincia: bassi salari, caduta investimenti e crescita delle disuguaglianze.

Non si riesce a creare sviluppo e coesione sociale, secondo la segretaria della Cisl di Ferrara: “Bisogna affrontare queste cadute nella dimensione collettiva e abbandonando le sollecitazione a privatizzare tutto il privatizzabile”. Per questo è necessario “rafforzare la salute dai Lea alla medicina sociale, insieme con le politiche sociali con attenzione ai servizi universalistici e di inclusione. Le infrastrutture poi sono indispensabili per essere attrattivi e dare competitività al territorio, mentre sul lavoro bisogna agire a difesa dei presidi produttivi esistenti, aumentare la base industriale e lo sviluppo delle filiere, investire sulla formazione e collaborare con l’Università”.

Ai dati e al piano risponde il presidente della Provincia Nicola Minarelli, secondo cui “bisogna intervenire sul declino demografico, non basta vedere che c’è”, e propone tre interventi per invertire il trend: far rimanere chi c’è, agire con uno sforzo collettivo per aumentare le risorse a disposizione e attirare nuove famiglie e persone da fuori per dare nuovo impulso alla natalità.

Per il presidente della CamCom Paolo Govoni la ‘colpa’ sta comunque dalla parte della politica: “Ci troviamo in situazione nuova e inedita che ha bisogno di essere contrastata in modo nuovo e inedito sia nel metodo che nella forma. Si parlava delle nuove risorse messe a disposizione, dal Pnrr al patto per il lavoro, ma le risorse di per sé sono poche se non riusciamo a costruire una progettazione su quale futuro vogliamo e su quale economia vogliamo puntare nel nostro territorio”, spiega, “e ci sono anche problemi infrastrutturali e di formazione dell’occupazione, ma per dare queste risposte bisogno condividere che tipo di progetti vogliamo e come finalizzarli: la situazione va decisa in maniera seria e se mi permettete definitiva facendo tutti insieme un passo avanti. Esistono diversi aiuti di carattere economico ma ci sono effetti economici nazionali e internazionali che rischiano di vanificarli, ad esempio l’aumento dei prezzi delle materie prime”.

Una visione, quella di una strategia che esca dai campanilismi, parzialmente condivisa anche dal leader della Cgil ferrarese Cristiano Zagatti: “Se il problema più importante è quello demografico, possiamo dirci che c’è qualche problema di attrattività e di politiche interne che è stridente. È difficile affrontare questo tema, perché è la gestione di 21 comuni che non è più adeguata, non per la mancanza di amministratori capaci ma perché il depauperamento continuo della PA impedisce di agire sul rilancio socioeconomico del territorio. Non è una questione di colore politico, ma la politica negli anni ha cercato di confondere la responsabilità politica da quella istituzionale”.

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