Cronaca
30 Giugno 2020
Mancavano i requisiti della flagranza e anche la preliminare e difficile ricostruzione dei fatti da parte degli inquirenti non permette di sostenere la versione dell'agguato con l'inento di ammazzare

Accoltellamento in via Baluardi. Cade il tentato omicidio, i due arrestati tornano in libertà

di Daniele Oppo | 4 min

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Arresto non convalidato perché mancavano i requisiti e accuse che, al massimo, possono essere ridimensionate in lesioni lievi. In altre parole, i due uomini arrestati venerdì dalla Polizia e accusati di tentato omicidio per lo scontro a coltellate in via Baluardi tornano in libertà.

Se dal tribunale la vicenda esce molto ridimensionata, almeno dal punto di vista giudiziario, nel frattempo l’uffici Immigrazione della Questura ha chiesto il nulla osta all’autorità giudiziaria per espellerli.

Il gip Danilo Russo, nell’udienza di convalida tenutasi in streaming lunedì mattina, ha in sostanza accolto le argomentazioni della difesa dei due fratelli tunisini di 29 e 32 anni (A.T. e D.T.), sostenuta dall’avvocato Massimo Bissi: l’impianto accusatorio non era solido abbastanza, sia per questioni tecniche che dal lato della difficile ricostruzione dei fatti.

Partiamo dal primo aspetto: i due fratelli sono stati fermati in centro, in via Vignatagliata, mentre erano in fuga, verso le 17. Nessuno degli operanti, però, li ha visti accoltellare qualcuno o li ha trovati con il coltello in mano. L’arresto, inoltre, è stato formalizzato solo dopo la mezzanotte e solo dopo che sono state raccolte le varie testimonianze, comprese quelle delle presunte parti offese: i due feriti portati all’ospedale e il barbiere Imed Arfaoui, noto alle cronache per aver fermato Pierpaolo Alessio, il giovane che uccise la nonna a botte. Questo lasso di tempo e la necessità di ricostruire la vicenda attraverso più testimonianza fa cadere il requisito della flagranza del reato (o della quasi flagranza): non potevano essere arrestati.

Poi c’è la difficile ricostruzione dei fatti, anche se c’è un dato oggettivo: i feriti, come già aveva rilevato il dirigente della Squadra mobile, sono lievi (guaribili in 8 giorni) e non in punti vitali. Questo è stato un fattore che ha spinto il giudice a ‘scartare’ l’accusa di tentato omicidio. Ma non è il solo: nel racconto delle parti offese, queste si presentano come vittime di un agguato e solo i due fratelli sarebbero stati armati, ma sono stati trovati tre coltelli (due a serramanico e uno da cucina) e una bomboletta spray e si sa che uno dei partecipanti allo scontro aveva in mano un machete, unica arma non ritrovata. Un testimone piuttosto importante risulta aver riferito che quel machete era sicuramente nelle mani del barbiere (lui ha raccontato di averlo strappato a uno degli arrestati prima di buttarlo via sulle mura, dove non è stato trovato).

Il fatto che ci fossero cinque armi per quattro mani, che anche gli arrestati abbiano riportato lesioni e contusioni e che uno di loro sia stato anche medicato perché aveva un’irritazione alle mucose. causata con molta probabilità proprio dallo spray, rende difficile provare che si sia trattato di un agguato anziché di uno scontro più o meno casuale tra fazioni parimenti armate, seppure evidentemente legato al controllo di un’ambita piazza di spaccio.

Allo stato degli atti appare plausibile anche il racconto degli accusati: sarebbero stati loro a essere aggrediti dal gruppo di connazionali. Prima il più giovane A.T., che, impaurito, sarebbe scappato e avrebbe chiamato il fratello D.T., arrivato in auto con la compagna (la donna straniera la cui posizione non è del tutto chiara, anche se non è indagata). Poi proprio quest’ultimo, che sarebbe stato accerchiato e avrebbe lanciato qualche fendente con un coltello, mentre A.T., vendendo la scena e sentendo le grida del fratello maggiore che lo chiamava, si sarebbe nuovamente avvicinato da dietro: in questo momento, raggiunto da uno dei (presunti) aggressori, sarebbero spuntati i coltelli da entrambe le parti e il 29enne avrebbe colpito il suo avversario, avvicinatosi troppo.

Dopodiché entrambi i fratelli sarebbero fuggiti, entrando prima nell’auto della compagna di D.T. – dove A.T. ha lasciato il coltello e nascosto un etto di hashish – poi dirigendosi a piedi verso via San Romano, dove sono stati catturati.

Di sicuro, anche nella lettura del giudice, a queste condizioni e con una ricostruzione dei fatti ancora troppo farraginosa, è impossibile dimostra l’esistenza della volontà di uccidere da parte dei due fratelli.

“Dalla ricostruzione sulla base delle deposizioni e dei pochi elementi obiettivi – spiega l’avvocato Bissi – si può dire che mancava l’animus necandi. Tutto si può sostenere tranne che vi fosse la volontà di uccidere gli altri soggetti”.

Servirà ora un approfondimento da parte degli inquirenti per far piena luce sulla vicenda.

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