Eventi e cultura
25 Maggio 2020

Memorie del nonno comunista, “da esserne orgogliosi”

di Redazione | 4 min

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*la recensione di Fiorenzo Baratelli sul libro autobiografico di Antonio Rubbi “Ai nipoti americani. Memorie del nonno comunista italiano” (Este Edition)

Antonio Rubbi è stato un importante dirigente nazionale del Pci. E’ uscito il primo volume della sua autobiografia. Nel titolo è contenuta la chiave di lettura di questa prima parte: “Ai nipoti americani. Memorie del nonno comunista italiano”. Raccontare agli amatissimi nipoti lontani la propria vita è stata la motivazione decisiva per vincere la resistenza a parlare di sé. Affermare nel titolo d’essere stato un ‘comunista italiano’ significa sottolineare che la storia del Pci non è riducibile ai rapporti con l’Urss e con gli altri partiti comunisti.

Il libro è la ricostruzione dettagliata di una vita. Va dalla nascita (1932) in una famiglia di braccianti di San Biagio d’Argenta, fino al 1958 quando andrà a Mosca dove trascorrerà alcuni anni importanti per la sua formazione. Preoccupazione costante dell’autore è come raccontare ai nipoti che vivono in America una vita del secolo scorso.

Ciò ha imposto due scelte al nonno-autore. Una scrittura semplice e una ricostruzione minuziosa che riesca a trasmettere il colore di un’epoca. Anche chi ha conosciuto da vicino Antonio, resterà sorpreso dalla finezza nel descrivere ambienti che configurano un vasto compendio di caratteri tipici di una piccola comunità della prima metà del novecento. Uno storico potrà attingere con profitto da questo materiale sociale e di storie individuali.

Antonio ricorre con sapienza a diversi registri di scrittura, a seconda dell’oggetto che affronta. Usa toni asciutti, senza retorica quando descrive la miseria sociale, il dramma del fascismo, la tragedia della guerra. Per esempio, pensiamo cosa fu l’8 settembre 1943 quando il re, i suoi ministri, i suoi generali si dettero alla fuga, lasciando senza ordini un milione di soldati e abbandonando la popolazione alle prese con problemi di sopravvivenza.

E’ importante capire la ricaduta di questi eventi nazionali in una piccola comunità di poco più di 2.000 abitanti e descriverne le conseguenze: fame, angoscia, sacrifici, miseria, rischio per la vita. E tutto ciò narrando vite concrete, ciascuna scolpita con qualche particolarità che la rende unica. Antonio concepisce la sua adesione alla Fgci e al Pci come una scelta di riscatto morale, prima ancora che politico. Sono pagine di gratitudine (uso volutamente un termine non politico, ma affettivo) verso il partito e verso i tanti con i quali intrecciò relazioni di comune appartenenza e spesso di amicizia profonda, condividendo speranze, dolori, contrasti.

Infine la lingua della felicità quando Antonio evoca l’altra passione della sua vita: il calcio. Di questo, avrebbe parlato con più competenza il comune e amatissimo amico Paolo Mandini. Io mi limito a citare un simpatico aneddoto presente nel libro. Antonio si stava sottoponendo ad una prova come portiere davanti ad alcuni esperti rappresentanti della Spal nel tardo autunno del 1950. Alla fine un signore con l’impermeabile che aveva assistito a bordo campo, si avvicinò all’allenatore Janni e dettò la sentenza: “L’è bravin, ma l’è trop picul”. Era il mitico Paolo Mazza di cui sia Antonio che Paolo diventarono amici.

Ritorno sulla cifra particolare della generazione degli anni trenta e quaranta cui appartenne Antonio. Erano decenni cruciali per il secolo grande e terribile. Non c’era tempo per giocare e divertirsi come avrebbe richiesto la loro giovanissima età. Dovettero crescere in fretta. Nessuno meglio di Giaime Pintor (1919-1943) delineò con efficacia la cornice in cui quei ragazzi fecero scelte difficili: “La nostra generazione posta di fronte a problemi vitali, educata tra avversità precise e sensibili, non ha tempo di costruirsi il dramma interiore: ha trovato un dramma esteriore perfettamente costruito”.

A proposito di dramma… Si sente fin dalla dedica ai nipoti quale è il dramma che oggi vivono persone come Antonio Rubbi: la crisi della politica. Antonio ricorda ai nipoti che la sua vita è stata dedicata alla politica mentre oggi “…il solo pronunciarne la parola procura smorfie di disprezzo”. Reagisce: “La politica quando è intesa nel suo vero significato e praticata con onestà e disinteresse è tra le più nobili attività umane. Così io l’ho intesa e così penso di averla praticata”.

I nipoti Giacomo e Giulia devono essere orgogliosi di nonno Tony, perché è stato un politico onesto, rigoroso, stimato e appassionato. Se pensiamo al suo percorso non si può non provare ammirazione e stupore, indipendentemente da come la si pensi. Nasce in una famiglia povera. A 15 anni, terminate le scuole medie, inizia a lavorare come bracciante. Nel 1949 (a 17 anni) si iscrive alla Fgci e al Pci. Dal 1968 al 1975 diventa segretario del Pci provinciale, in quegli anni una grande forza popolare e di governo nei comuni ferraresi. Poi un importante riconoscimento, quando si trasferisce a Roma perché viene nominato responsabile della sezione Esteri, diventando uno stretto collaboratore di Enrico Berlinguer. Fu deputato nel Parlamento italiano per quattro legislature.

So che ci tiene ad essere definito un costruttore. Infatti Antonio fu, insieme a tanti altri, tra i costruttori della democrazia italiana. Ferrara è molto presente in questo libro. Per apprezzare i cambiamenti sociali e culturali realizzati nei decenni la testimonianza rigorosa e appassionata di Antonio è preziosa, perché documenta com’era ridotta la provincia dopo una dittatura e una guerra devastante. Anche per questo motivo dobbiamo essergli grati.

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