Editoriali
18 Dicembre 2019
Fabbriano dimenticato. Appello per una mostra permanente che onori il grande pittore ferrarese

Ferrara inciampa nel pozzo della vergogna

di Marco Zavagli | 3 min

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Che buffa città è Ferrara. Mentre, novella Talete di Mileto, alza gli occhi a guardare le stelle per candidarsi a Capitale italiana della cultura 2020, inciampa e cade in un pozzo. Un pozzo fondo.

Fondo almeno quanto la vergogna che ho provato nel non scorgere nemmeno un rappresentante istituzionale a dare l’ultimo saluto a uno dei suoi artisti più importanti degli ultimi 50 anni.

Fabbriano se ne è andato in silenzio, così come ha vissuto. Lunedì mattina, nella chiesa di San Cristoforo alla Certosa, c’erano i suoi cari, gli amici e gli ammiratori di sempre.

Le istituzioni? Gli alti rappresentanti di quell’arte ferrarese che Fabbriano ha esportato in almeno tre continenti? Silenti dopo la notizia della scomparsa. Assenti nel giorno dell’addio.

A Ferrara non c’era nemmeno il segretario di un assessore alla cultura, odierno o d’antan. Eppure a Città del Messico gli han consegnato la medaglia d’oro per l’arte. In Certosa non c’era nemmeno l’ombra di un messo comunale. A Barcellona venne insignito del Premio internazionale Joan Mirò. Ad accarezzare quel feretro ricoperto di fiori bianchi (lui che scavava febbrile nel nero…) non si è scorto neppure il bavero della giacca di un politico di qualsivoglia schieramento. E pensare che tutti lo applaudivano quando esponeva al Centro d’Arte Contemporanea di Parigi o a Palazzo Barberini a Roma.

A scanso di equivoci, precisiamo che le tante assenze non coincidono con prodigiosi impegni amministrativi o istituzionali. Alla moglie Adriana Mastellari (meravigliosa donna e scultrice) e alla figlia Lisa non è arrivato alcun messaggio di cordoglio neppure in forma privata.

In questo grottesco quadro, l’unico a cui scapperebbe un sorriso sarebbe forse proprio Fabbriano. Viviamo un’epoca in cui la modestia risulta offensiva, dove l’umiltà è una dichiarazione di sconfitta. E quest’epoca non era per lui.

“Ho visto in tutti questi anni che la fatica più grande per lui è sempre stata quella di esporsi e farsi vedere, ho sentito la sua frustrazione di avere tanto da comunicare ma non essere capace di urlarlo a parole”. Mi perdonerà la figlia Lisa se consegno al pubblico questa conversazione privata avuta nel giorno delle esequie. Ma Fabbriano era così. Un urlo in cerca di una bocca. E sopperiva a una stentata facondia con la sua arte, con quel tentativo sempre rinnovato di “salvare la classicità dalla decadenza”, come mi confidò un giorno. Era “l’incantesimo che vivo dentro di me”. Gli bastava l’arte. Anzi, l’arte era tutto. La cosa più lontana da onori, riconoscimenti, cortigianerie…

Che buffa Ferrara, si diceva. Tra un paio di giorni verrà inaugurata in pompa magna la “Collezione Franco Farina” nel Padiglione d’arte contemporanea. Farina volle Fabbriano ancora negli anni ’70 per una mostra al Centro Attività Visive di Palazzo dei Diamanti. E, immagino, se sapesse che trattamento è stato riservato a uno dei più celebri artisti ferraresi, vi chiuderebbe le porte in faccia a quella sua collezione. E lui, lui sì, a scortare Fabbriano lungo gli ultimi passi ci sarebbe stato.

Credo che Farina sottoscriverebbe in un attimo l’appello che sto per rivolgere alle istituzioni. Lo avete dimenticato quando era in vita, provate a ricordarlo ora che non c’è più. Raccogliete le tante opere ancora disponibili e trovate una collocazione degna per una mostra permanente in sua memoria.

Non sia un maldestro tentativo riparatorio, ma un regalo a Ferrara e ai ferraresi. Non abbiamo forse creato la delega alla “Civiltà ferrarese”? Siate ferraresi allora. E siate civili. Grazie.

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