Editoriali
27 Febbraio 2019
Caso Aldrovandi. Se per un consigliere tutto questo si chiama disgrazia, noi come dovremmo chiamare quel consigliere?

E la chiamano disgrazia

di Marco Zavagli | 3 min

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“È stata una disgrazia”. Così Francesco Rendine, capogruppo della lista civica Gol, si è espresso sulla morte di Aldrovandi. Una disgrazia. Vale a dire una sfortuna, una sventura.

Evidentemente Federico è stato proprio sfortunato a finire i suoi 18 anni sull’asfalto con il corpo ricoperto da 54 lesioni. Ma ricoperto non è il termine adatto. Prendiamo in prestito quello del giudice di primo grado: “deformato”.

Proprio una sventura, visto che, sempre secondo la sentenza Caruso, Federico non aveva commesso alcun reato, era disarmato e già reso inoffensivo.

Sfortuna ha voluto però che i quattro poliziotti, per i quali Rendine lamenta la mancanza di sostegno da parte dell’amministrazione comunale, si accanissero sul diciottenne come “schegge impazzite” in preda a “una sorta di delirio”. Qui è il procuratore generale in Cassazione a parlare.

Parole forti quelle del procuratore. D’altronde come definire la disgrazia di venire massacrati mentre sei prono, ammanettato, rantoli e chiedi aiuto? La risposta degli agenti bistrattati dall’amministrazione è stata quella di “bastonarlo di brutto per mezz’ora”, spaccargli addosso due manganelli (che sempre disgraziatamente verranno ripuliti per bene e nascosti), schiacciargli il torace salendovi sopra e tempestargli il cranio di calci.

Ma la serie di sventure non finisce qui. Una pattuglia aveva un defibrillatore nel bagagliaio. Disdetta vuole che non lo usasse. L’ambulanza venne chiamata dopo che il cuore del ragazzo aveva disgraziatamente cessato ormai di battere.

Se non si trattasse di vera e propria iattura ci sarebbe in effetti da preoccuparsi a non manifestare adeguato sostegno a chi ha posto in essere un “incontrollato e abnorme uso della violenza fisica” (prima sentenza), “un autentico pestaggio”, una accettazione di “violenza gratuita, assolutamente vietata dalle regole”.

Disgrazia vuole poi che anche dopo l’omicidio colposo di Federico i quattro agenti dalla vita rovinata siano incappati in una seconda serie di sventure. Come quella di raccontare una ricostruzione dei fatti che il tribunale di Ferrara definì “fantasiose ipotesi”, “bugie e falsità” unite alla “spregiudicata strumentalizzazione dell’ambigua posizione iniziale di unici testimone dei fatti” […]. “Ambiguità, reticenze e menzogne che non depongono in favore degli imputati che hanno concordemente agito nel senso di coprire le proprie responsabilità anche a costo di descrivere uno stato della vittima a tinte fosche ed eccessive, dimostratesi poi false”. Malasorte che si associa all’“assenza di segni di pentimento e alle palesi menzogne e agli ostacoli frapposti all’accertamento della verità”.

Non è un caso, in questa incredibile giostra di venerdì 17, che le prime informazioni uscite dalla questura parlassero prima di overdose, poi di un malore, poi di un ragazzo scaricato dagli amici dall’auto in corsa.

Però un sostegno ai quattro agenti allora era arrivato. Dai colleghi poi finiti sotto processo per omissioni e depistaggi. Sfortunati anche loro.

Tornando ai “due filoni” che Rendine vorrebbe sullo stesso piano, va ricordata l’ennesima disgrazia di uno dei condannati che ha offeso su facebook la madre del figlio cui aveva tolto la vita. Accidenti che malasorte.

Il consigliere sottolinea poi che “la volontà di ammazzare non c’era”. E qui ha ragione. È fuori discussione che i quattro agenti dal curriculum di servizio immacolato fino a quel momento siano andati una notte in via Ippodromo per uccidere un ragazzo incensurato. Ma è altrettanto vero che se loro non fossero intervenuti Federico oggi sarebbe vivo. E qualcuno oggi non avrebbe nemmeno la scusa di parlare di disgrazia.

Il consigliere aggiunge infine che “chi rischiava la vita” è stato poi perseguitato “con richieste risarcitorie esagerate da parte del sistema giudiziario”. La Corte dei Conti ha condannato i poliziotti a pene pecuniarie comprese tra 16mila e 67mila euro.

Se per un consigliere tutto questo si chiama disgrazia, noi come dovremmo chiamare quel consigliere?

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