Attualità
28 Novembre 2018
Pubblicato su Pnas uno studio delle università di Ferrara e Oslo che indaga i meccanismi di trasmissione della malattia

Unife sulle orme del batterio della peste

di Redazione | 3 min

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Non soltanto pellicce, cuoia e pelli lavorate. Nel Medioevo, a viaggiare lungo le rotte commerciali di Asia, Europa e Medio Oriente, era probabilmente anche un invisibile portatore di morte, Yersinia pestis, il batterio della peste. Vanno in questa direzione i più recenti risultati del progetto internazionale MedPlag, sodalizio scientifico delle Università di Ferrara e di Oslo, che indaga i meccanismi di trasmissione della malattia mettendo in campo ecologia, epidemiologia, genetica e ricerca storica.

Sono ancora molti gli aspetti da chiarire sulla peste, il flagello che sconvolse in più epoche intere popolazioni in diversi continenti. Lati ancora poco conosciuti, per esempio, a causa della scarsità di materiali genetici antichi a oggi ritrovati e analizzati. Uno degli aspetti dia chiarire sulle ondate di peste che colpirono l’Europa, riguarda i meccanismi di diffusione del batterio responsabile del terribile male: la malattia partiva da focolai dello Yersinia pestispresenti in Europa, o invece, come il gruppo di ricerca di MedPlag ipotizza, venne importata in più ondate e dall’esterno?

Per indagare questa ipotesi, il team di ricerca ha combinato indagini genetiche ed evidenze storiche.

Parte dello studio è consistito nell’analisi di cinque nuovi genomi del batterio. “I ceppi che abbiamo studiato sono stati ritrovati in 5 scheletri provenienti da 4 diversi siti archeologici: Bergen op Zoom nei Paesi Bassi, Saint-Laurent-de-la-Cabrerisse in Francia, Abbadia San Salvatore in Italia, Oslo in Norvegia. Luoghi notoriamente colpiti dalla peste o in cui, come nel sito italiano, lo studio di documenti testamentari e registri ci ha permesso di ipotizzare il verificarsi di episodi riconducibili alla Peste Nera del 1348 e alla pestis secunda del 1358-1363”, spiega Barbara Bramanti, responsabile scientifica del progetto e docente dell’Università di Ferrara. “Per ottenere i 5 genomi, abbiamo analizzato in realtà quasi 70 campioni provenienti dagli stessi siti”. Il materiale genetico è stato ricavato da resti di denti di vittime delle epidemie e ha permesso di aggiungere importanti elementi alla conoscenza del genoma del batterio. Ma l’analisi filogenetica, da sola, non basta.

Ecco quindi che i ricercatori sono ricorsi allo studio delle fonti storiche, da dove è giunta la scoperta più inaspettata.  “E’ noto da tempo che la “Terra delle Tenebre” era in passato messa in relazione alla peste. Per la prima volta abbiamo scoperto che i mercanti arabi del Trecento utilizzavano il termine ‘Terra delle Tenebre’ per indicare i luoghi da cui venivano importate le pellicce più pregiate, intendendo con ogni probabilità i luoghi al di là del Sarai, sul Volga, luogo reso noto dalle peste stessa. Questi mercanti, dunque, suggerivano implicitamente che la peste fosse associata alle rotte di pellicce medievali”.

Una scoperta che sembra avvalorare l’ipotesi di partenza del gruppo di MedPlag: come non esistono ora, non sono mai esistiti, in Europa, serbatoi del batterio della peste. Yersinia pestis arrivò, probabilmente, seguendo le rotte, via mare e via terra, aperte man mano dai mercanti per far viaggiare le merci tra Asia ed Europa. Portando, oltre alle merci, anche malattia e morte.

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