Politica
8 Luglio 2018
I fuoriusciti dalla Lega si sono ritrovati al bar Diamantina: "Non abbiamo scherzato e lotteremo per la Padania"

Il vento secessionista torna a spirare con Grande Nord

di Redazione | 7 min

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Diamantina. “Sulla provincia siamo nati da poco, ma ho ricevuto l’onere e l’onore di rappresentare Grande Nord come coordinatore e ho incorniciato la nomina nel mio ufficio. Io vengo dalla Lega, che non è più Nord, e il nostro lavoro sarà crescere nei vari territori, e chi verrà a far parte di questo movimento sarà autonomo nel proprio territorio, con l’appoggio però di tutta l’organizzazione”. A Stefano Bigoni, consigliere comunale di Berra ex leghista ora diventato coordinatore regionale di Grande Nord, la scintilla è scoccata “dopo l’espulsione dalla Lega ex Nord” quando è tornato a sentire ancora soffiare sul suo volto la brezza secessionista: “Siamo tutti reduci da esperienze in quel movimento che era territoriale, per poi vederci togliere quella appartenenza”.

‘Quel movimento che era territoriale’, per Bigoni come per gli altri, era la Lega, da cui per diverse ragioni i rappresentanti di Grande Nord sono in qualche modo fuoriusciti malamente: c’è chi è stato espulso, c’è chi se n’è andato per protesta, c’è chi era secessionista e si è ritrovato in un partito che era evoluto e non era più il suo e diverse altre miscellanee. Per tutti, a un certo punto, è arrivato il vento del riscatto: una confederazione di partiti, dichiaratamente indipendentista e ‘padana’ — “All’articolo 1 dello statuto di Grande Nord c’è scritto che questo movimento nasce per ottenere l’indipendenza e l’autonomia della Padania”, dice la responsabile organizzativa federale Monica Rizzi, una che si autodefinisce “secessionista da sempre” — che si è già candidata, ma più che altro per spot e ne sono autonomamente coscienti, anche in diverse circoscrizioni alle ultime politiche. Per quanto riguarda Ferrara si sono ritrovati nella prima serata di sabato tutti al bar ‘Diamantina’ di Francesco Marangoni, lui stesso fu leghista a seguito dell’espulsione dal Carroccio  dopo una serie di vicissitudini sia politiche che personali sia con Nicola Lodi prima che con Alan Fabbri poi.

Nella frazione tra Vigarano Pieve e Bondeno quindi calano tutti gli assi della confederazione e si siedono attorno a un tavolo tra riferimenti alla Catalogna e al carcere. Il primo a parlare è il Angelo Alessandri, uno dei membri fondatori di Grande Nord — che prima fu presidente federale della Lega per poi perdere la carica con le dimissioni di Bossi, poi creò ‘Io cambio’ per prendere 4 voti nelle isole alle Europee di quattro anni fa e dire di non sapere di essere candidato —, il quale per rompere il ghiaccio regala una trasposizione scenica tra il coordinatore provinciale e la confederazione politica anti-lega che sarebbero un tutt’uno: “Quando chiedo in giro cosa pensano di Bigoni mi parlano di persona leale e combattente. Questo è quello di cui è fatto Grande Nord, e Stefano rispecchia il motivo per cui siamo qua. Nella Lega volevamo lottare e abbiamo sempre lottato perché casa nostra rimanesse una terra bella come i nostri nonni ce l’hanno lasciata, e tra immigrazione e altri problemi ci siamo persi per strada la comunità”. Dice di venire da un territorio che faceva una politica “che se divideva nei temi univa nei bisogni sociali”, un’alchimia che è un disastro perdere perché “oggi come ieri l’invasore è Roma. Peccato che molti di quelli che avevano promesso di combattere si sono venduti. Noi non ci siamo arresi, dobbiamo farlo sapere: abbiamo ancora voglia di lottare per questa battaglia sacrosanta. Se c’è un motivo per cui combattere, lottare e forse anche morire è per casa propria”. Poi arriva dritto alla cassa, ai soldi: “La questione settentrionale è ancora attuale, ma non solo per la didattica o per un po’ di chiacchiera, siamo un po’ più avanti del buttarsi in piscina in mutande. Ci sono 144 miliardi di residuo fiscale, e gli emiliani sono sempre stati generosi. L’unica volta in cui abbiamo avuto bisogno è stato durante il terremoto, e ci è stato risposto che non c’era un soldo mentre per l’Aquila abbiamo dato 13 miliardi di euro. Non bisogna arrendersi, la lotta si fa sui territori, non è Roma che si cambia. Dobbiamo arrivare ad avere delle Regioni comandate da noi con spirito nordista, con un governatore che fa quello che serve. Mi sento e voglio essere Puidgemont, voglio essere catalano. Se vogliamo combattere dobbiamo anche rischiare il carcere. Io sono arrivato a 21 avvisi di garanzia: ho rischiato, poi avevo smesso, quando abbiamo visto che è stato tolto ‘Nord’ abbiamo detto basta”.

Il volontario Puidgemont poi tira fuori l’ascia di guerra finale per chiudere il suo discorso: “Il 15 di settembre ritorniamo a Venezia e giuriamo di nuovo, perché non abbiamo scherzato e lotteremo per la Padania”.

Successivamente tocca a Roberto Bernardelli, presidente del movimento “che ha i migliori blogger, quelli che hanno insegnato il mestiere a Morisi (il social media manager della Lega di Salvini, ndr)“. Lui fa l’imprenditore, e la politica “la faccio per passione perché ho contratto una sorta di malattia, il sogno di Umberto Bossi che mi è rimasto nel cuore”. Della Lega per la quale è stato deputato nel primo governo Berlusconi ricorda come “nacque come sindacato del nord che difendeva il lavoro, le imprese, il territorio e la cultura del nord, questo era il suo compito. Doveva difendere questo patrimonio da un potere centrale rappresentato da Roma che saccheggiava e saccheggia ancora ogni giorno le risorse che arrivano dal nord, locomotiva trainante del Paese. Se a questa locomotiva ogni giorno sottrai ricchezza con le tasse…”. E per rimarcare il punto lui ricorda i pensionati di Milano, dove vive, “che alle fine dei mercati raccattano le verdure da terra, e mi ribolle il sangue. Con i soldi del residuo fiscale risolveremmo i problemi dei nostri pensionati. Allora la prima domanda è ‘perché non ci teniamo questi soldi che sono il prodotto del nostro lavoro?’. Invece dobbiamo darli a Roma che li redistribuisce a gente che non ha il concetto di lavoro”. Che sarebbero le persone del sud “dove non c’è una famiglia senza invalido o senza una persona dentro un ente pubblico, se gli diamo anche il reddito di cittadinanza è finita. Poi hanno anche delle cose positive, hanno delle mozzarelle buone”.

Comunque, dalla Lega sono assolutamente diversi: “Noi siamo popolo, ci differenziamo dai populisti: loro sono un’altra cosa, vivono sulle paure ancestrali della gente. Sappiamo tutti che l’immigrazione è un grosso problema, ma viene usato come cassetta di voti per non dare risposte sul lavoro, sulle aziende che chiudono delocalizzando. I movimenti populisti hanno una scadenza e crollano”, dice Bernardelli, al quale questo governo non piace: “E’ strano ed esiste una forte lobby gay, con la prima bozza dei ministri bocciata da Mattarella che aveva tre nomi legati alla Luiss che è un’università legata alla massoneria americana”. In tutto questo “il comitato federale sarà itinerante in tutte le regioni del nord per dare la dimostrazione che siamo vicini ai territori. Il nostro primo obiettivo saranno i comuni, con i nostri sindaci che dovranno essere capaci di essere vicini alle istanze della gente. Grazie Salvini perché ci hai dato una prateria immensa da occupare, e noi la occuperemo”.

“Vorremmo prima dell’estate di finire tutte le regioni del Nord, mancano Liguria e Friuli. Vogliamo far ricredere in quel sogno che a me non sono riusciti a cancellare”, conclude Monica Rizzi, che invece dà l’idea di come questo movimento si stia muovendo — in fretta e bene, per lei, che sbandiera i risultati di alcuni comuni dove la lista Grande Nord ha sfiorato o raggiunto il 10%. “Io”, si svela poi, “sono entrata in Lega a 16 anni e ho avuto tutto quello che mi ero prefisso. Volevo arrivare in Regione Lombardia, non mi interessava Roma: sono nata secessionista e rimango secessionista, e sono arrivata ad essere assessore regionale allo sport e ai giovani. Io poi l’ho vissuta questa cosa, nel 2008 capii che c’era qualcosa di profondo che non funzionava perché all’epoca votò tre mesi prima delle elezioni la riforma fiscale delle Regioni. Arrivammo a Roma dopo qualche mese chiedendoci dove fossero queste cose, e ci accolsero in ufficio Calderoli e Tremonti che ci comunicarono che avrebbero fatto dei decreti attuativi per graduatamente passare prima le materie e poi prima il 5 per cento, poi il dieci eccetera. Lì capii che c’era qualcosa di sbagliato”.

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