Attualità
25 Giugno 2018
Il padre di Federico ospite dell'evento di chiusura della festa della tifoseria spallina insieme a Ilaria Cucchi, l'avvocato Anselmo e lo scrittore Mungo

La curva onora Aldro. Papà Lino: “Ho visto la bandiera e mi sono detto: è lì con loro”

di Redazione | 5 min

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di Mattia Vallieri

“L’immagine di Federico sulla bandiera non offende nessuno, non c’è scritto poliziotti assassini. È pulita e dice solo ‘Federico è qua e noi vogliamo rimanere vivi’: è una richiesta di protezione per i nostri figli”. Sono le parole commosse e piene di emozione di Lino Aldrovandi a chiudere la festa della Curva Ovest al Parco Urbano, nell’incontro dal titolo ‘Federico ovunque’ che, come spiegano gli organizzatori, ha toccato anche da vicino “una bandiera (quella con il volto di Aldrovandi ndr) totalmente innocua, che un giudice sportivo, un signor nessuno, ha giudicato offensiva verso le forze dell’ordine”.

Ad aprire l’incontro lo scrittore Domenico Mungo: “Siamo di fronte a vite umane calpestate dall’arroganza di chi crede di poterla sempre fare franca. Il volto di Federico è stato oltraggiato ulteriormente dalle istituzioni con l’ultima proibizione di portare il suo viso negli stadi”. La parola passa quindi a Lino Aldrovandi che, dopo aver sottolineato di seguire la Spal “fin da piccolo, è sempre stato qualcosa di eccezionale e grande per me”, ricorda come è nata la vicenda della bandiera e della vicinanza dei ragazzi della Curva Ovest: “Hanno iniziato 2 anni fa a portare allo stadio la bandiera di Federico e mi sono detto ‘è lì con loro’. Mi è venuto il magone perché era qualcosa di magnifico. Non vedevo niente di violento ed offensivo, era una bandiera che volava sopra le loro teste e quelle dei loro figli”.

Tutto è andato bene fino alla trasferta di Roma dove, prosegue Aldrovandi, “la bandiera non è stata fatta entrare ed i ragazzi hanno deciso di fare lo sciopero del tifo. Da quel momento hanno iniziato ad usarla anche altre tifoserie e sempre con dolcezza, mai con violenza, perché i ragazzi della curva sanno che sono contrario alla violenza. Ad alcune tifoserie che esponevano la bandiera con il volto di Federico sono stati fatti verbali, 166 euro di multa e la scocciatura di dovere andare in questura: è una cosa molto triste”.

“A Federico è stato impedito di tornare a casa, ma non aveva commesso nessun reato”, afferma interrotto dalle lacrime Lino, ringraziando a più riprese “Annie Marie Tsagueu, la donna camerunense, per il coraggio di testimoniare: ha dato un insegnamento anche a tanti noi ferraresi. Proprie Annie Marie dirà che un poliziotto lo stava tempestando con i piedi”. E ancora: “Chiedo a chi indossa una divisa, come me anche se diversa, di tirare fuori il meglio e rispettare il loro giuramento”.
Proprio durante queste parole interrotte dalle lacrime di Lino Aldrovandi i ragazzi della curva ovest fanno partire il classico coro per Federico, che echeggia tutte le domeniche di campionato, salutato dagli applausi convinti di tutti i presenti.

Il microfono passa quindi ad Ilaria Cucchi, sorella di Stefano morto mentre si trovava in custodia cautelare: “Da quel 25 settembre, dal sacrificio di Federico e dalle sentenze di condanna si è aperta una strada per tutti noi. Quando vidi Stefano l’ultima volta sul tavolo dell’obitorio mi sono chiesta, da persona che si fidava delle istituzioni, come era possibile ridurre un uomo così. Sembrava il solito caso che finiva senza un nulla di fatto ma ho visto le immagini di Federico e abbiamo contattato la famiglia ed il loro avvocato”. Ma non solo: “Sicuramente se loro non si fossero messi in prima linea contro tutto e tutti non saremmo riusciti a fare nulla. Grazie a Lino e Fabio abbiamo fatto in modo di dare umanità a quelli che erano solo considerati dei casi”.

“Federico è una immagine ed un messaggio estremamente scomodo perché parla di legalità e vedere sventolare la sua bandiera è emozionante ed imbarazzante per altri” chiosa l’avvocato Fabio Anselmo, convinto che Federico per qualcuno “bisognava dimenticarlo fin dal giorno della sua morte, fin dall’inizio del processo. Federico doveva essere una parentesi: questo messaggio di legalità bisognava dimenticarlo e questo è molto preoccupante”. Secondo Anselmo quello Aldrovandi “non è stato un processo travagliato, il percorso è rimasto sempre quello fin dal primo grado, ma Federico rimane negato come l’abuso di potere. Voi avete una responsabilità quando sventolate quella bandiera: si getta fango su chi fa legalità e sicurezza, quella vera non quella delle ruspe”.

“L’umanità di questi giovani perde la sua dimensione vera, diventano esclusivamente casi giudiziari” dichiara ancora l’avvocato, sostenendo di “aver scritto questo libro (‘Federico’ ndr) per ricostruire chi era questo ragazzo: era incensurato, aveva appena 18 anni, era disarmato e andava bene a scuola. Era un ragazzo la cui anima è stata calpestata e distrutta. Dopo la sentenza di Cassazione c’è una foto di me e Lino che ci abbracciamo ma è una gioia effimera, un minuto dopo c’è il vuoto per un giovane che non c’è più ma sono sentenze che ridanno dignità ad una vita”. Lo stesso Anselmo attacca: “Federico e Stefano erano due tossici, Uva un ubriacone. Si cerca di sminuire la vita per giustificare la violenza delle forze dell’ordine. Federico ha visto recuperata la sua dignità ma a voi ultrà chiedo di continuare così e di non perdere la memoria”.

Il finale è di Mungo che torna anche sulla testimonianza di Tsagueu: “Dobbiamo ostentare le immagini di questi ragazzi, è l’unica possibilità di perpetuare questa memoria. Abbiamo ricevuto lezioni di civiltà da una persona che arriva dall’Africa profonda dove magari vorremmo rimandarla con un foglio di via ma prima di avere il diritto di essere italiani abbiamo anche la responsabilità di esserlo”.

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