Cronaca
23 Maggio 2018
Colpo di scena a Venezia in corte di appello. Dopo tre ergastoli la requisitoria in favore di Sergio Benazzo e Gianina Pistroescu

Omicidio Burci. Il pg in appello chiede l’assoluzione. La difesa: “Le vere belve sono là fuori”

di Marco Zavagli | 4 min

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La droga nel fazzoletto da naso sporco

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Sergio Benazzo e Gianina Pistroescu vanno assolti. Il primo per non aver commesso il fatto. La seconda perché non è possibile raggiungere la prova della sua colpevolezza. È il colpo di scena che arriva dalla Corte di Assise di appello di Venezia. A Mestre, nell’aula bunker costruita negli anni ‘80 in via delle Messi per celebrare i processi degli Anni di piombo, dopo dieci anni dalla morte di Paula Burci si capovolgono le conclusioni di sette anni e mezzo di processi.

Il procuratore generale al termine della sua requisitoria ha chiesto l’assoluzione per entrambi gli imputati. Benazzo e Pistroescu, a piede libero dopo tre ergastoli comminati a Ferrara, Bologna e Rovigo, vedono ora un barlume di speranza dopo le tre condanne a fine pena mai per l’omicidio di Paula Burci.

A spingere il magistrato a queste conclusioni è in primo luogo il comportamento della testimone chiave dell’accusa, Jana Serbanoiu, la compagna di cella in Romania di Gianina Pistroescu, alla quale la ‘maman’ di Paula aveva confidato di aver partecipato all’omicidio della diciottenne. Secondo il pg la Serbanoiu servivano riscontri alla sue dichiarazioni. La teste prima riferisce alla direzione carceraria di avere raccolto le confidenze pericolose dalla detenuta, poi però – una volta sotto intercettazione ambientale – non sarebbe stata capace di raccogliere vere e proprie ammissioni di colpevolezza. La Serbanoiu poi non sarebbe stata una testimone disinteressata, dal momento che in più occasione aveva chiesto benefici e sconti di pena come condizioni per collaborare con gli inquirenti.

La pubblica accusa ha puntato il dito anche contro altri testimoni, ritenuti in questa sede poco credibili. Una su tutti Claudia Malagugini, che aveva riconosciuto Paula nella locanda Valmolin a Crespino, in provincia di Rovigo. Qui la ragazza venne costretta a prostituirsi e ad assumere droghe. Da quel luogo, secondo la versione fino ad oggi avvalorata dai tribunali, la Burci riuscì a scappare e raggiungere Villadose, a casa di Benazzo, dove venne raggiunta dal comando punitivo che la massacrò a calci, pugni, martellate per poi bruciarla ancora viva sulla sponda ferrarese del Po. Per il pg la Malagugini è “una sinusoide valutativo”, per indicare l’ambivalenza e il moto ondivago delle sue dichiarazioni.

Critiche anche per le dichiarazioni del meccanico Renzo Altieri raccolte nel corso del processo a Ferrara ma non riconfermate per ragioni di salute in quello di Rovigo: quelle dichiarazioni non potevano essere ammesse.

Il magistrato si è chiesto infine per quale motivo i presunti omicidi di Paula avrebbero dovuto trattenere i vestiti della vittima come prova contro di loro se davvero l’avessero uccisa.

Tutti punti sostenuti anche delle difese. Con l’avvocato Rocco Marsiglia, difensore della Pistroescu, che nella sua arringa ha aggiunto, sempre a minare la credibilità della Serbanoiu, il fatto che la sua assistita “stesse parlando della sua cattura per lo sfruttamento di Paula, non certo per l’omicidio. E infatti in 200 pagine di intercettazioni non c’è nemmeno un riferimento alla locanda, a un martello, alla droga. I dettagli riferiti in un primo momento della Serbanoiu non sono altro che quelli che la stessa aveva appreso leggendo l’ordinanza di carcerazione che accompagnava l’accusa di sfruttamento della prostituzione”.

Marsiglia è poi partito dall’epoca della morte di Paula, ricordando come non sia stata considerata una fonte confidenziale della Polizia che riferiva di una infezione alle vie urinarie che le avrebbe impedito di lavorare: “e infatti – prosegue il difensore della Pistroescu – la giovane non è stata vista in strada sin dai primi giorni del marzo del 2008”.

“Finalmente dopo sette anni e mezzo uno che parla di diritti e canoni probatori, questi sconosciuti nelle procure di Ferrara, Bologna e Rovigo – è il commento al vetriolo di Marsiglia al termine dell’udienza -. I processi si fanno sulla base di prove, non di teoremi o di pseudoconfidenze. Oggi abbiamo trovato un procuratore generale che parla conosce questo linguaggio”.

Di parere diametralmente opposto l’avvocato di parte civile Chiara Lazzari, che si dichiara “abbastanza scioccata e disorientata. Ho dissentito nelle mie conclusioni dalle tesi del procuratore, ripercorrendo e corroborando quegli idizi che lui riteneva irrilevanti”.

Quanto al momentaneo successo per la linea difensiva che deriva dalla requisitoria del pg, l’avvocato, in attesa della sentenza prevista per il 20 giugno, rimane cauto: “I due imputati hanno sfruttato questa ragazza in modo spregevole ma non sono assassini. O quantomeno non ci sono prove che lo siano. E, comunque vada, non ha vinto nessuno e non vincerà nessuno. Paula è stata uccisa in un modo orribile e questa è una sconfitta per tutti. Ma le vere belve sono là fuori”.

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