Cronaca
2 Dicembre 2016
Ultima udienza dell'anno nel processo contro Ruszo e Fiti. Il fratello Marco esce, Rita trova il coraggio per rimanere

Omicidio Tartari, in aula le foto dell’orrore

di Daniele Oppo | 3 min

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È stato il momento finora più carico e drammatico. Marco Tartari è uscito dall’aula poco prima che sul telo bianco venissero proiettate le foto del tugurio in cui il suo corpo del fratello Pierluigi è stato ritrovato.

Ultima udienza per quest’anno per il processo che vede imputati Patrik Ruszo (difeso dall’avvocato Patrizia Micai) e Constantin Fiti (avvocato Alberto Bova) per l’omicidio di Pierluigi Tartari, il pensionato di Aguscello lasciato morire senza pietà dopo una violenta rapina in casa il 9 settembre 2015. Fiti inizialmente non c’è per un problema di comunicazione tra la cancelleria del tribunale e il carcere di Modena: all’inizio aveva rinunciato a comparire, poi ha cambiato idea ma nessuno ha dato seguito a questa nuova volontà. Una volta capito cosa fosse successo il presidente della corte d’assise sospende tutto per due ore, per permettere all’imputato di presenziare.

Poco prima erano stati sentiti i gestori del ristorante-pizzeria in cui Tartari si era recato la sera del suo assassinio, per mangiare una pizza e prenderne una da portare a casa del suo amico che quel giorno lo aveva aiutato con il giardino. Dopo tocca a un agricoltore diretto che, grazie ai sospetti di un suo dipendente stagionale (un cittadino bulgaro), ha identificato l’Alfa 156 di Ivan Pajdek, il capo della banda già condannato in abbreviato a 30 anni, che passava da quelle parti a passo d’uomo. Tocca poi a una donna che vide l’auto di Tartari, una Opel Corsa nera, parcheggiata e abbandonata nella boscaglia dopo il cavalcavia dell’autostrada, nella zona del carcere.

Sfilano poi gli operatori della squadra mobile, Andrea Marzocchi e Mauro Grazi, che hanno riconosciuto Fiti al bar, individuato le scarpe nuove che aveva comprato con i soldi di Tartari al centro commerciale Le Mura. Infine il momento clou, quello più intenso che a un certo punto porta Marco ad uscire, mentre la sorella Rita raccoglie tutte le forze emotive che ha e rimane a guardare. Sono gli scatti della Polizia nell’abitazione di Pierluigi (descritti e commentati da Gabriele Balboni che ha eseguito gli accertamenti tecnici), con il disordine e le macchie di sangue, della sua auto e, infine, del tugurio-deposito di refurtiva nascosto dalla vegetazione in zona via Pelosa, dove solo il 26 settembre è stato ritrovato il corpo.

Descrivere quelle foto senza scendere nel macabro è difficile, ma sono la testimonianza della barbarie: Tartari è legato come un sacco, con fascette da elettricista e nastro isolante alle spalle (spunta anche l’omero sinistro che ha bucato la carne), ai polsi, alle ginocchia e alle caviglie. Il corpo è gonfio, riverso a faccia in giù. Anche la testa è avvolta da nastro isolante. Tutt’attorno è un lago di liquido di decomposizione e larve.

Finisce lì, Marco può rientrare. L’ultima persona ad essere sentita è Stefano Perelli della squadra mobile che macina a memoria – destando sorpresa e ammirazione perfino al giudice Alessandro Rizzieri – una lunghissima lista di telefonate, codici, orari, celle telefoniche attivate per descrivere tutti i movimenti della banda poco prima e poco dopo quel maledetto 9 settembre.

Il processo riprenderà a gennaio, quando il pm (in aula c’era Ciro Alberto Savino e non più Stefano Di Benedetto che ha coordinato tutta l’inchiesta) dovrà esaurire i suoi testimoni: tra loro anche il medico legale Rosa Maria Gaudio, e mamma Rosy, e si dovrebbe procedere all’esame dei due imputati.

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