Vigarano
17 Novembre 2016
Chiesta l'archiviazione per Hidri Sajmir. Bova: “Un giorno qualcuno dovrà chiedere scusa”

Espulso per terrorismo, ma per il pm non ci sono prove

di Marco Zavagli | 5 min

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Sajmir Hidri

Sajmir Hidri

Non ci sono prove che Sajmir Hidri stesse progettando attentati, o che aiutasse qualche fanatico ad attuarli o che si stesse addestrando per compierne. Sono le conclusioni cui è giunto il pm della procura di Bologna Antonio Gustapane. Conclusioni già depositate a fine luglio, ma che solo ora, dopo notevoli insistenze e grazie a un accesso agli atti, il suo difensore, l’avvocato Alberto Bova, ne è venuto a conoscenza.

Mentre pende ancora il ricorso al Tar contro il provvedimento del ministro Alfano, Hidri vive ancora in Albania dopo il decreto di espulsione dal territorio italiano emesso nei suoi confronti lo scorso 11 agosto. Dopo 12 anni in Italia, il 34enne albanese era stato fermato all’aeroporto di Verona mentre stava per prendere il volo per Tirana per raggiungere moglie e figli in vacanza. Qui gli è stato notificato il decreto che gli impedisce di rimettere piede sul suolo italiano per 15 anni.

La notizia aveva colto di sorpresa un po’ tutti. A parte la Lega Nord, che pochi minuti dopo l’uscita dell’agenzia di stampa era già di fronte all’abitazione di Hidri a Vigarano Mainarda con un drappello di protesta, gli abitanti di Vigarano Mainarda e la comunità islamica ferrarese sembravano caduti dalle nuvole. Il 34enne infatti non aveva mai avuto né dato problemi. Non era imam della moschea di Ferrara né aveva tentato la scalata al vertice del centro di via Traversagno, Aveva un lavoro regolare, titolare di un’impresa edile assieme al fratello. I suoi figli erano perfettamente integrati ed erano iscritti nelle scuole del paese. La moglie vestiva “al’occidentale” e lavorava tranquillamente.

Eppure per gli Interni non risultava “inserito nel contesto sociale di riferimento” ed era “persona pericolosa per la sicurezza dello Stato. E la stessa informativa redatta dalla Digos di Ferrara dà conto dei sospetti che avrebbero portato Alfano ad emettere quella drastica misura.

I primi sospetti nascono quando il nome di Hidri compare nella rubrica telefonica dell’imam radicale Memishi Rexhep, coinvolto in una serie di arresti in Macedonia per arruolamento di miliziani dell’Isis nell’agosto del 2015. Le indagini portano ad accostarlo ad altri esponenti del mondo jihadista, come Oussama Khachia, il saldatore di 31 anni di Brunello cresciuto nella provincia varesina e morto in Siria come combattente dell’Isis nel dicembre scorso. Elementi che secondo l’informativa della Digos avvicinavano Hidri alla figura di “possibile elemento di contatto con ambienti dell’integralismo islamico in ambito nazionale e internazionale”.

A questo si aggiunge il fatto che “da circa due anni aveva mutato il proprio aspetto fisico e stile di vita con sembianze atteggiamenti e abitudini riconducibili agli stretti dettami della dottrina coranica”. Vale a dire che si era fatto crescere la barba. A pesare contro di lui anche il “pellegrinaggio alla Mecca”, scrive la Digos. Ma la “umra” è obbligatoria almeno una volta nella vita di ogni musulmano. Vengono poi le partecipazioni a conferenze “cui sono invitati imam di livello internazionale come relatori”. Un quadro che tratteggerebbe una “inclinazione religiosa volta verso la frangia più estremistica dell’islam, che lo avvicina agli ideali che sono alla base dello Stato islamico”.

A convincere l’intelligence delle possibili derive jihadiste del 34enne viene poi il materiale sequestrato dal suo pc durante la perquisizione del 22 febbraio di quest’anno. La consulenza informatica ha evidenziato che l’uomo era in possesso di un archivio di fotografie, filmati e audio in arabo e albanese “di particolare interesse per la profilazione della corrente estremistico-religiosa da questi seguita”, ma “senza far emergere elementi tali da configurare a suo carico reati contro i quali dover procedere”. Nello specifico si è scoperto che aveva scaricato o visionato in due siti fondamentalisti “immagini di scherno (vignette, ndr) nei confronti di stati direttamente impegnati nella lotta contro l’Isis”.

Dall’analisi del materiale – sempre citando l’informativa – “appare evidente il suo interessamento per la corrente salafita” che si sostanzia nel possesso di materiale video reperito in rete, inneggiante alla “buona condotta nella vita terrena per avere una buona vita nell’aldilà”. “Fondamento – sostiene la Digos – questo ricorrente nelle motivazioni della Jihad”. Ma anche fondamento presente praticamente in tutte le religioni del mondo.

Il 34enne avrebbe inoltre frequentato il centro culturale islamico di Pordenone e assistito a un incontro in cui era presente Veapi Ajhan, successivamente arrestato per terrorismo in quanto reclutatore di foreign fighters.

A questo si aggiunge una “fonte confidenziale” che sosteneva come Sajmir manifestasse interessamento per “potesse essere in possesso di video che riproducevano azioni di martirio e operazioni jihadiste”.

Da qui le conclusioni del procuratore che ammette una “costanza nel documentarsi e interessarsi a tematiche religiose estremistiche” da parte dell’indagato”, ma fa sapere che il materiale probatorio “non ha fatto emergere elementi sufficienti per attribuirgli condotte penalmente rilevanti”. Ecco allora che “allo stato delle indagini non vi sono elementi di prova idonei a sostenere l’accusa in giudizio” in ordine all’ipotesi che l’indagato fosse coinvolto in attività di addestramento ad attività di terrorismo internazionale di stampo islamico estremista.

Il pm ha chiesto quindi l’archiviazione. Ora spetterà al gip l’ultima parola in merito al destino penale di un uomo che, in ogni caso, ha visto la sua vita completamente stravolta. “A parte il danno economico derivante dal dover abbandonare la propria impresa edile – commenta l’avvocato Bova – e alla sua foto finita sui quotidiani nazionali come imam di Ferrara, credo che prima o poi un giorno qualcuno dovrà chiedere scusa a Sajmir Hidri”.

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