Cronaca
22 Ottobre 2016
Seconda udienza per l'omicidio di Aguscello. Pajdek chiama in causa Rosy, la mamma di Ruszo

“Rosy ci disse: andate da Tartari, ha oro, una cassaforte e vive da solo”

di Daniele Oppo | 5 min

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Jpeg“Nel periodo della rapina Rosy ha detto che conosceva una casa per un grosso furto e indicava la casa del signor Tartari e del fratello”. Riparte da qui Ivan Pajdek, il capo della banda (già condannato a 30 anni) che la notte del 9 settembre 2015 rapinò e uccise Pier Luigi Tartari nella sua casa ad Aguscello.

L’udienza di venerdì, la seconda del processo, inizia con due ore di ritardo perché il difensore di uno dei due imputati (l’avvocato Patrizia Micai), Patrik Ruszo, è in carcere per visitare il suo assistito che lamenta dolori alla mandibola, alle orecchie e alla testa. Chiede un legittimo impedimento, ma la Corte dispone l’accompagnamento coatto di Ruszo in tribunale dopo aver sentito il carcere e aver appreso che è sotto antibiotici e antidolorifici, ma nulla osta alla sua capacità di presenziare al giudizio. Poi lui dirà di avere troppo dolore e sceglierà di abbandonare l’udienza.

Quasi tutto il tempo è ancora dedicato al prosieguo della deposizione di Pajdek che, rispondendo alle domande della parte civile (avvocato Eugenio Gallerani) chiama in causa Rosy, la mamma di Patrik Ruszo e il quadro dipinto è quello di una specie di basista della banda. Dal racconto emerge che i due imputati e il ‘capo’ (e non solo  loro) avevano spesso alloggiato nella casa in cui Rosy faceva la badante (all’oscuro dei figli della signora assistita), proprio di fianco a quella di Pier Luigi Tartari ma, soprattutto, che fu lei a indicare loro l’obiettivo per il prossimo colpo: “Ci diceva che che viveva da solo, che aveva dell’oro e una cassaforte”. C’è di più, perché quel 9 settembre “vedevo Rosy che fumava alla finestra della cucina, con le luci spente. E lei vedeva noi”. Pajdek racconta di aver rivisto mamma Rosy anche due giorni dopo i fatti, al Darsena City, prima di andare a fare compere ai Lidi con i soldi di Tartari, accompagnata dal suo fidanzato: “Diceva che sentiva tutto il rumore che facevamo in casa e si lamentava. Ci ha chiesto cosa avevamo trovato e cosa fosse successo”.

Prima di quella data la banda (questa volta pare senza Costantin Fiti, il secondo imputato, ma un certo Igor) fece anche un altro tentativo, a casa del fratello di Tartari, Marco, ma una volta entrati nel giardino il loro cane iniziò ad abbaiare e li convinse alla ritirata. Saccheggiarono comunque, in un’altra occasione, i garage dei Tartari, rubando attrezzi da lavoro e una bicicletta. Il ruolo di Rosy? “Abbiamo dato tutte le cose a lei che le ha messe nella tenda dove dormiva Patrik, poi abbiamo portato tutto dal suo fidanzato che le nascondeva nel garage della madre. Rosy sapeva che erano cose rubate e sapeva anche da dove. Poi le cose si portavano in Slovacchia dove venivano vendute”.

Il dipinto di Rosy – che non è né imputata né indagata (lo fu, brevemente, all’inizio) – che emerge è quello di una sorta di basista. “Una volta le abbiamo portato un televisore che io e Fiti avevamo rubato alla clinica Salus. Lei lo aveva nascosto per portarlo in Slovacchia”. Fiti (difeso dall’avvocato Alberto Bova), appunto, conosciuto in carcere nel 2014 e frequentato una volta usciti fuori con il quale, però, quella a casa Tartari “è stata la prima rapina”.

Pajdek decide di non rispondere alla domanda su altre rapine in casa con persone imbavagliate, ma un accenno se lo lascia sfuggire: “In altre occasioni non è mai successa questa cosa, non è scappato il morto”.

Ma perché portare Tartari nel casolare dopo la rapina? “Per poter tornare in casa il giorno dopo”, e cercare quello che non avevano trovato: l’oro e la cassaforte. O, forse, per farlo sparire: “Ero messo malissimo” (il ‘capo’ ribadisce che i complici l’avevano legato come una mummia e rivela poi, a differenza delle altre volte, che non lo vide mai muoversi né in casa né nel casolare). E poi l’uomo almeno “Patrik lo conosceva di sicuro”, tant’è che nell’interrogatorio davanti al Gip del 30 novembre 2015, lo stesso Pajdek riferì che la loro vittima dicesse “vi vedevo a voi”.

Nel corso dell’udienza sono stati sentiti anche Francesco Innao, un uomo che conosceva la banda e che fece un viaggio con loro per portare un’automobile sui Colli Bolognesi il giorno dopo la rapina, un sovrintendente della Polizia Scientifica sui rilievi fatti nella Opel Corsa di Tartari, un’educatrice della casa protetta de “Il Germoglio” di Cesena che ospita donne in difficoltà. Il motivo di quest’ultima testimonianza è che un’altra teste importante è stata ospite della casa: Miriam Nali, ex fidanzata di Fiti, con il quale ha avuto anche un bambino.

Le intercettazioni intercorse tra lei e il padre pochi giorni dopo la rapina (quando ancora non si sapeva dove fosse Tartari) sono state fondamentali per l’indagine. Nali racconta che Fiti la chiamò il giorno dopo al cellulare (con quello di suo padre) dicendole di “aver fatto qualcosa di grosso”, e che voleva scappare in Romania. In altre chiamate (effettuando il cellulare di “Huber”, il nome con cui era conosciuto Pajdek) le disse di guardare il giornale e lei capì. Quando gli chiese che fine avesse fatto Tartari, lui rispose “non so se è vivo o morto ma è lontano”. Qualche giorno prima della rapina le aveva detto di essere ad Aguscello “per vedere qualcosa”, e “per fare soldi per andare tutti quanti in Spagna”. Al tempo lei discusse con il padre (che oggi è deceduto), voleva andare dalla Polizia e raccontare tutto, ma lui aveva paura perché ospitava Fiti in casa e aveva paura di venire coinvolto.

Tra Fiti e la Nali le cose non andavano bene, lei racconta delle minacce subite nel tempo e anche di aver subito violenze fisiche. In udienza, dopo un bel po’ di tensione tra Bova e il pm Filippo Di Benedetto, sono state prodotte anche 13 lettere inviate da Fiti a Nali, alcune anche piuttosto recenti, dal carcere. In una del 19 maggio scorso, l’imputato le scrive: “Mi hanno detto che posso denunciarti per falsa testimonianza, perché mi è arrivato dal giudice un foglio che sono fuori dall’omicidio. Visto che mi hai preso [il figlio, omettiamo il nome, ndr], adesso ti devo fare del male”. In un’altra le consiglia di dire “che è stata minacciata dalla polizia”, e in un’altra ancora “se sento che giuri su [il figlio] ti sputo davanti alla giuria e davanti al giudice”.

Si riprende il 2 dicembre.

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