Cronaca
24 Settembre 2016
È iniziato il processo a carico di Ruszo e Fiti per il brutale omicidio di Aguscello

I giudici popolari contro gli aguzzini di Tartari

di Daniele Oppo | 6 min

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I pm Filippo Di Benedetto (a destra) e Alberto Savino

I pm Filippo Di Benedetto (a destra) e Alberto Savino

È iniziato con un’udienza durata circa nove ore il processo a carico di Constantin Fiti e Patrk Ruszo, imputato per il brutale omicidio di Pier Luigi Tartari la notte del 9 settembre 2015 nella sua casa ad Aguscello.

In gran parte si è trattato di un’udienza tecnica – iniziata con l’intoppo causato da un giudice popolare che non si è presentato poi prontamente sostituito – con il giuramento dei giudici popolari che insieme ai togati Alessandro Rizzieri (presidente) e Debora Landolfi, compongo la Corte d’Assise; la costituzione delle parti (tra cui il Comune come parte civile tramite l’avvocato Giacomo Forlani) e l’ammissione delle prove.

Le difese di Fiti (avvocato Alberto Bova) e Ruszo (avvocato Patrizia Micai) – entrambi presenti in aula –  hanno contestato l’ammissibilità e/o l’utilizzabilità di alcuni mezzi di prova prodotte dalla procura (pm Filippo Di Benedetto e Ciro Alberto Savino), in particolare le intercettazioni: 3736 conversazioni totali: “Di tutto questo nel fascicolo del pm non c’è traccia”, ha affermato Bova che ha contestato la violazione del diritto di difesa degli imputati. Altra contestazione ha riguardato la possibilità di utilizzare il verbale di interrogatorio di Giuseppe Nalli, padre della ex ragazza di Fiti, nel frattempo deceduto, che secondo l’avvocato Bova sarebbe dovuto essere ascoltato come indagato – in quanto egli stesso avrebbe paventato un possibile coinvolgimento penale per aver ospitato l’imputato – e non come testimone.

Tutto risolto dalla Corte che ha sostanzialmente ammesso tutte le prove – tranne una richiesta da Bova, ovvero le registrazioni delle telefonate compiute in carcere da Fiti – e dato l’incarico al perito del tribunale di trascrivere le intercettazioni segnalate dalla procura e dalla parte civile (la famiglia Tartari: Marco e Rita i fratelli di Pier Luigi, rappresentati dall’avvocato Eugenio Gallerani), con 30 giorni di tempo per depositare la relazione.

Solo nel pomeriggio è iniziato il dibattimento vero e proprio, con le prime deposizioni testimoniali: sono stati sentiti Tiziano Giatti, assistente capo in forze all’Upg della questura di Ferrara, Michele Rossini della Squadra Mobile, il vicequestore aggiunto Andrea Crucianelli (dirigente della Squadra Mobile), il consulente tecnico della procura Matteo Fabbri, i fratelli Tartari e, infine, Ivan Pajdek, il terzo componente della banda, già condannato in abbreviato a 30 anni di reclusione.

“Siamo entrati in casa insieme, lo abbiamo picchiato tutti e tre”

I movimenti del bancomat. La testimonianza di Rossini è quella che ha offerto lo spaccato più particolareggiato delle indagini compiute, a partire dall’11 settembre, quando la Polizia venne chiamata per un furto nell’abitazione di Tartari, trovando la casa messa a soqquadro e tracce di sangue. Di particolare interesse le fondamentali indagini sui movimenti del bancomat tra il 9 e il 10 settembre. Il primo alle 21,37 del 9, presso la Carisbo di via De André, a pochi chilometri dalla casa di Tartari: un prelievo di 250 euro compiuto da Pajdek. Il test per controllare che il pin fornito funzionasse davvero. Poco dopo ci prova con la carta di credito, ma con esito negativo. La seconda operazione con il bancomat avviene nel primo mattino del giorno seguente: all’1,45, all’Unicredit di via Padova. Passata la notte – dormendo in auto come Pajdek spiegherà – i tre vanno all’Ipercoop Le Mura dove acquistano uno smartphone Samsung S6 Edge, per più di 800 euro alle 10,36. Pochi minuti dopo sono in un negozio di articoli sportivi dove comprano un paio di scarpe Nike per Ruszo (75 euro) e le ‘famose’ scarpe Adidas per Fiti (50 euro).

L’intoppo e le spese pazze a Lido Estensi. Poi provano a comprare un altro smartphone in un negozio Wind all’Ipercoop “Il Castello”: ma non ci riescono e il commesso ritira la carta d’identità di Tartari. Qui, innervositi, fanno anche un incidente stradale con un’altra auto, uscendo dal parcheggio. Scappano. Per l’ora di pranzo la banda è a Lido Estensi, dove fa man bassa di abbigliamento in un negozio cinese. Nel pomeriggio si spostano in una gioielleria dove con i soldi di Tartari comprano una catenina d’oro per 470 euro e due bracciali d’oro rispettivamente per 560 e 260 euro.

Le intercettazioni. Il 19 gli inquirenti iniziano ad intercettare alcune utenze telefoniche, tra le quali c’è quella di Miriam Nalli, allora fidanzata di Fiti. Parla con il padre ed entrambi sono preoccupati, fanno riferimento ai fatti di Aguscello e vogliono parlare con la Polizia. “Fa riferimenti chiari a Fiti – spiega Rossini -, fino ad allora non avevamo alcuna informazione su di lui”. Il 21 lei chiama proprio Fiti e “lui le dice che va via, va in Romania. A quel punto decidiamo di perquisire la casa di Nalli perché sapevamo che Fiti era domiciliato lì”. Trovano le scarpe e altri effetti personali dell’imputato. Poi interrogano Miriam: “Da due gli indagati diventano tre: Fiti, Pajdek e Ruszo”. Fiti viene fermato in un bar mentre legge il giornale e indossa proprio le scarpe comprate dopo l’omicidio, il 25 settembre Ruszo viene fermato dalla Polfer a Padova, e sarà proprio lui a condurre gli inquirenti nel casolare dove avevano abbandonato Tartari. Pochi giorni dopo è la volta di Pajdek, catturato in Ungheria dove era scappato con la compagna.

L’Alfa 156 di Pajdek. C’è poi la storia dell’Alfa 156 nera in uso a Pajdek, ma – ha spiegato Rossini – “intestata a un pregiudicato ospite a Berra di una famiglia già nota alle forze dell’ordine”. Era stata già fermata a luglio a Copparo, alla guida c’era Pajdek e con lui un cittadino croato pregiudicato, indagato per altre rapine simili che avrebbe commesso con Pajdek stesso e Ruszo. Prima ancora, il 31 marzo, un altro controllo, questa volta all’ospedale di Cona: c’erano Pajdek e Fiti, idem il 7 maggio successivo. A settembre l’auto viene multata 15 volte dl tutor tra Copparo e Ferrara. È la stessa di cui parla la denuncia effettuata dalla donna coinvolta nell’incidente all’Ipercoop “Il Castello”.

Le prove biologiche. Il consulente del Pm sembra lasciare poco spazio ai dubbi sulla partecipazione di tutti gli imputati al delitto. “Nella Opel (l’auto di Tartari, ndr) c’erano dei profili biologici commisti, poi sono stati separati: erano commistioni di materiali biologici della vittima, di Ruszo e Fiti”. Il genetista forense elenca poi i luoghi dell’auto in cui sono state trovate le tracce ‘mischiate’: manopola del cambio, maniglia destra, leva per abbassare lo schienale. Su richiesta di Bova ha specificato che “è possibile un secondary transfert Dna ma è una possibilità remota e in genere richiede un grande trasferimento di materiale biologico”. A Fabbri è toccata anche l’incombenza di dare un’identità a quel corpo “irriconoscibile, pressoché scheletrizzato”, possibile solo grazie al combaciare dei profili biologici con quelli dei fratelli Rita e Marco.

Poi tocca a loro, Marco e Rita, ricordare quei giorni, la scoperta, la sensazione che qualcosa di brutto fosse accaduto. Dopo (e del dirigente della Squadra Mobile, che ha raccontato la trasferta per prelevare Ruszo a Padova e la scoperta del covo dove il corpo di Pierluigi Tartari era “riverso, con le mani dietro la schiena”) è toccato a Ivan Pajdek raccontare quella notte dell’orrore, per la prima volta in un’udienza a porte aperte.

Il dolore dei Tartari testimoni nel processo per l’omicidio di Pier Luigi

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