Cronaca
24 Settembre 2016
Le ammissioni di Pajdek chiamato a testimoniare nel processo avviato contro gli altri imputati per l'omicidio Tartari

“Siamo entrati in casa insieme, lo abbiamo picchiato tutti e tre”

di Daniele Oppo | 6 min

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A destra, Ivan Pajdek

A destra, Ivan Pajdek

È la prima volta che parla in un’udienza pubblica, è la prima volta che le sue dichiarazioni possono essere udite da tutti. Ivan Pajdek, il “capo” anziano della banda accusata di aver ucciso Pier Luigi Tartari – già condannato a 30 anni in abbreviato – è oggi uno dei testimoni chiave del processo a carico di Patrik Ruszo e Constantin Fiti.

Il suo esame è iniziato nell’udienza di venerdì e continuerà il prossimo 21 ottobre, perché è tanto quello che ha da raccontare e da spiegare, ma già quello che i microfoni hanno diffuso nell’aula B del tribunale estense basta per gelare il sangue.

“Siamo entrati con Fiti e Patrik (Ruszo, ndr), insieme e lo abbiamo picchiato, tutti e tre. Io con un tubo di plastica, Patrik con un altro tubo e Fiti con un palanchino di ferro, avevamo tutto in macchina”. Sono le sue prime dichiarazioni alle domande del pm Filippo Di Benedetto. Ma il racconto va avanti: “Tartari non c’era quando siamo arrivati, ma lo abbiamo visto arrivare”. Con sé aveva la pizza, quella acquista a ritrovata ancora nella confezione dentro al frigo. “Lui è entrato e noi eravamo ancora dietro la casa dove aveva una lampadina accesa che io ho rotto, così eravamo buio. Si sentiva che scorreva l’acqua, o dalla cucina o dal bagno, siamo andati tutti e tre dentro e siamo entrati in una stanza. Lui ha chiuso il rubinetto, è uscito fuori e ci ha visti”.

Loro allora lo accerchiano ed è l’inizio del orrore. “Non lo abbiamo colpito subito – dice Pajdek -. Poi loro due lo hanno spinto per terra, vicino alla porta della cucina e lo abbiamo colpito. Patrik è stato sopra la testa, Fiti calciava ai fianchi, io ho dato due colpi sotto al ginocchio. E dopo lo hanno cominciato a legare”.

In quelle condizioni gli hanno chiesto cosa avesse in casa, il povero Tartari gli ha indicato il portafoglio con il bancomat, gli ha dato il pin per poterlo usare. E qui Pajdek si allontana, “sono andato in macchina in una banca a circa 2 chilometri, vicina a un supermercato (la Carisbo di via De André, ndr). Ho fatto un prelievo da 250 euro. La carta di credito non ha funzionato, non la so usare”.

Fatto il test torna ad Aguscello: “Ho trovato come una bomba caduta in casa. Loro due sono quasi senza maschera (una calza di nylon, ndr) e ho chiesto perché. Mi hanno detto ‘non ti preoccupare, tanto non ti vede’. C’è disordine e come mi avvicino a Tartari, poverino, lo vedo come una mummia, con lo scotch, nastro adesivo e non sentiva, né vedeva, né respirava”.

Come se nulla fosse va nell’appartamento di sopra – quello del fratello Marco – dove insieme a Fiti prende due fucili e dei quadri. Poi prendono la Opel di Pierluigi e la usano come porta-refurtiva. Devono andare via con le due auto, Padjek a bordo della sua Alfa 156, gli altri due con quella della vittima. Guida Ruszo, solo che non sa guidare: è Pajdek a dove fare le manovre per tirarla fuori.

Sistemano la refurtiva e trascinano Tartari fino alla sua auto, lo mettono sul sedile posteriore, salgono e si dirigono verso il casolare dietro il carcere dell’Arginone, nascosto, invisibile, un tugurio. Lì tirano di nuovo fuori tutto, compreso Tartari, ancora una volta trascinato. “Lo abbiamo trascinato dentro al casolare, tutti e tre perché l’entrata nella casina è difficile”. Era “un peso morto” ammetterà alla fine.

Poi lui e Ruszo vanno via con un po’ di refurtiva, “Fiti è rimasto lì da solo”. Nascondo i due fucili “vicino alla tenda dove dormiva Patrik”. Tornano al casolare, “Patrik ha preso altro nastro adesivo dalla mia auto e uno straccio bianco e siamo tornati dentro. Tartari l’ho visto per un secondo, per terra, legato. Fiti ha detto: ‘Mormorava, però gli ho dato un paio di colpi’. Nessuna persona in quello stato poteva parlare. Poi lo hanno legato ancora”.

Caricano altra refurtiva e dopo 5-10 minuti vanno via, tornerà solo Ruszo, con la Polizia, troppo tardi.

Passano la notte in un parcheggio vicino alla casa della ragazza di Fiti, poi la mattina dopo fanno gli acquisti tra Ferrara e Lido Estensi. Quando tornano in città si unisce a loro la fidanzata di Pajdek, mangiano un kebab e poi vanno a Berra. “Si discuteva sempre di Tartari e anche Denise (la fidanzata di Pajdek, ndr) mi diceva che qualcuno doveva andare a liberarlo. Ruszo voleva portare la macchina di Tartari in Slovacchia dove ha valore, ci puoi anche comprare una casa, ma non sa guidare. Sono andati loro due per decidere chi doveva portarla, sono tornati dopo un’ora a piedi. Hanno detto che non erano andati da Tartari perché c’erano le luci lampeggianti e lì abbiamo detto che l’avevano trovato. Io, Denise e Fiti siamo andati a Berra per nascondere i fucili”.

Le remore sono poche, anche se almeno un paio di volte dice che vorrebbe che Tartari fosse ancora vivo: “Ho detto a Denise che se loro hanno combinato, loro lo devono liberare. Poi mi hanno detto che c’erano i lampeggianti…”

L’Alfa 156 di Pajdek ha dei problemi con le chiavi. Chiamano il padre della fidanzata di Fiti per sistemare tutto, ma le cose non vanno come sperato. Poi arriva la notizia che Fiti è stato fermato dai carabinieri e allora Pajdek, la fidanzata e Ruszo scappano. “Abbiamo fatto Ferrara, Mestre, Udine, poi siamo andati a Trieste e in Slovenia vicino al confine con l’Ungheria”. Non riescono a entrare. “Siamo tornati di nuovo in Italia, a Udine e lì ci siamo divisi: io e Denise mentre Patrik ha detto che tornava a Ferrara per chiedere soldi alla mamma. Io a Pordenone ho rubato una Renault e siamo arrivati in Slovacchia, dove poi mi hanno arrestato”.

Il pm riporta il racconto al giorno dell’omicidio, la mattina del 9 settembre. Quel giorno – secondo il racconto – tutti e tre sono insieme a un siciliano, vanno a Bologna per portare un’auto a un uomo che è agli arresti domiciliari. Si fa tardi, accompagnano a casa l’amico, vanno in un bar del Darsena City, poi vanno a casa Tartari.

Ancora più indietro: hanno fatto un sopralluogo il giorno prima? “Non lo abbiamo fatto perché conoscevamo la casa, ma siamo passati di lì e abbiamo incontrato uno straniero, un bulgaro. Vedendoci andare avanti e indietro ci ha fermati mettendo la sua auto di traverso. Ci ha chiesto cosa facevamo, io gli ho detto che cercavamo un altro bulgaro”. Quella sera erano solo lui e Fiti, Ruszo non c’era.

Qui si interrompe il racconto, riprenderà alla prossima udienza, il 21 ottobre, e rimane ancora un grande dubbio: Pier Luigi Tartari era ancora vivo quando è stato portato nel casolare abbandonato?

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