Cronaca
23 Settembre 2016
Il fratello Paolo: "È un calvario, per Rita e per me, è una via crucis. Credo di sapere come e da chi è stato ucciso, la responsabilità la dividiamo per tre"

Il dolore dei Tartari testimoni nel processo per l’omicidio di Pier Luigi

di Daniele Oppo | 4 min

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“Sono andato fuori, ho visto Rita e le ho detto: Pier Luigi non c’è più”. Marco Tartari ha sentito fin da subito che quel 9 settembre 2015 sarebbe stato un giorno terribile da ricordare per il resto della sua vita.

Chiamato da Bruno Rambaldi – amico che lo aiutava per i lavoretti nel giardino – che lo avvisava che “qualcosa di brutto” era successo, glielo aveva detto la signora Cinzia Lodi, che abita lì di fianco, è andato subito nell’abitazione che divideva a metà con il fratello. “La porta del suo appartamento era socchiusa – racconta ai giudici della Corte d’Assise -, dentro c’era un disastro, tutto a soqquadro e soprattutto una chiazza di sangue denso, con della materia in mezzo”.

Lo sapeva Marco – voce forte di una famiglia distrutta – che forse non avrebbe più rivisto vivo il fratello, “il corpo non c’era, c’era il sangue”.

Ammette di essere nervoso mentre testimonia – chi non lo sarebbe al suo posto? -, per due volte almeno lo fa vedere mentre parla. “Ho spostato un calendario, dietro c’era una piccola cassaforte, ma non l’avevano vista”, dice rivolgendo lo sguardo per la prima volta all’indirizzo dei due imputati – Constantin Fiti e Patrik Ruszo -; è una scena che si ripete poco dopo, quando parla dei quadri scomparsi che neppure aveva notato all’inizio (la denuncia è arrivata solo dopo la confessione di Ruszo): due “specchi dell’Ottocento” e, soprattutto, “una gigantografia della rappresentativa italiana in cui c’era Gigi Riva. A quel punto mi sono messo a piangere: una fotografia scambiata per un quadro”, di nuovo lo sguardo verso i due imputati, altrimenti ignorati, e il tono della voce che sale e si fa accusatorio. Due episodi che raccontano non solo il dolore dell’uomo, ma anche l’assoluta assenza di senso di una tragedia che ha strappato via una vita, portato immenso dolore a una famiglia e ferito una città intera.

Tartari ha raccontato anche di un furto subìto qualche mese prima, nell’estate 2015, nei garage che aveva insieme a Pier Luigi. “Portarono via degli attrezzi da lavoro. Non denunciammo nulla perché Pier Luigi si è opposto dopo che un paio di anni prima, per un furto da 20mila euro, non riuscimmo ad ottenere nulla. Era fatto così, io l’avrei fatta la denuncia”.

Qualche parola anche per Ruzena Sivakova, Rosy, la madre di Ruszo, pedina fondamentale nelle indagini – sospettata per qualche tempo di aver fatto da basista, come ha ammesso in udienza l’assistente capo Michele Rossini -, ex badante della signora Lodi: “Devo dire che è stata sempre molto gentile, fino a un certo punto quando è diventata più defilata”.

Prima della deposizione ha lasciato qualche parola anche ai taccuini: “Sono a disagio, non vorrei esserci. Per oggi ci sto perché è la prima udienza ed è giusto che ci sia. Però quando parlerà la difesa o gli imputati me ne andrò fuori. È un calvario, per Rita e per me, è una via crucis”. Anche un’altra cosa è chiara: “Credo di sapere come e da chi è stato ucciso mio fratello, non ho voglia di guardare questi soggetti. La responsabilità la dividiamo per tre e la giustizia applicherà le sanzioni, ma basta con il gioco delle parti: qui c’è una persona assassinata da una banda di barbari”.

In aula dopo Marco tocca a Rita, che il dolore se lo porta dietro in modo silenzioso – ha parlato solo una volta, con parole pesate, dopo la condanna di Pajdek in abbreviato – ma lo mostra in volto. Un pezzo del suo racconto è fra i più duri: quello del riconoscimento del corpo. “Sono andata a Cona, ero pronta a tutto, mi sono trovata di fronte a un lenzuolo sollevato solo per far vedere i bordi del pantalone e le scarpe”. Niente di più, sarebbe stato orribilmente inutile. “Ho avuto la sensazione che potesse essere lui, ho visto solo quello”.

L’ultimo ricordo è quello di un fratello “persona estremamente autonoma: viveva da solo, ci teneva alla privacy. Il 2 giugno aveva superato brillantemente un’operazione alla carotide”. Si era ripreso subito, pronto a ricominciare: quel tragico giorno – come ha raccontato anche Marco – “aveva passato la sera a tagliare legna con Rambaldi”, a cui doveva portare una pizza per cena. Quella rimasta nel suo frigo.

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