“Ebbene si. Che la scissione avvenga”. Una lapidaria Ilaria Baraldi ha manifesttao sulla prorpia pagina facebook tutto il proprio disagio “che in tanti – non so quantificarli, ma considero pure quelli che se ne sono già usciti – nel Pd provano”. La riflessione avviene alla luce della sostituzione dei deputati contrari all’Italiacum in commissione Affari costituzionali.
Uno dei tanti episodi che contribuiscono ad accrescere quel disagio paragonabile a “quando sei al sole con 30 gradi e tu hai un maglione di lana perché alla mattina faceva freschino. Cominci a grattarti e l’unico desiderio è quello di strapparti di dosso il maglione. E per la prima volta ho realizzato che qualcosa si è definitivamente rotto, che il vaso non è sbeccato, la colla per quanto professionale non sarà sufficiente, qua ci sono mille pezzettini che sará impossibile ricomporre sensatamente. Non avremo mai più la forma del vaso che abbiamo comprato, che ci piaceva.
E, sempre per la prima volta (ci sono giornate così, impegnative) ho sperato che la scissione più volte paventata minacciata immaginata subodorata infine avvenisse”.
Ecco allora lo sprono, diretto però non a s, ma ad altri: “Ebbene si. Che la scissione avvenga. Che qualcuno si assuma la responsabilità di farla capitare. Possiamo anche chiamarla mitosi, se scissione non ci piace o suona troppo impegnativo. Poi, ciascuno deciderà e sceglierà per sè. E si potrà ricominciare. Qui o altrove. Ma almeno avendo chiara la direzione, scegliendosi i compagni di viaggio e mettendo in valigia i maglioni del peso giusto”.
Lo sfogo, spiega successivamente la consigliere comunale del Pd, è diretto ai tira e molla tra renziani e minoranze. E dentro ci mette anche il ‘suo’ Civati, “che prima parlava sempre a livello di contenuti, mentre ora sembra fagocitato dal resto delle minoranze”. E lei, di essere ricondotta a una minoranza aggregata attorno a Bersani, “proprio non ne ho voglia”.
Al di là della legge elettorale, “che sicuramente è perfettibile, anche se vedo un netto miglioramento rispetto alla prima lettura alla Camera”, Baraldi si sente in difficoltà “in un partito nel quale tutte le volte che sollevi una questione o chiedi approfondimenti si alza qualcuno che ti ricorda che noi siamo i riformisti, che dobbiamo cambiare questo, migliorare quello, senza mai entrare nel merito. E per una come me che nel partito ci sta perché vorrebbe dare un contributo è molto difficile. Credo lo sia per tutti quelli che non vogliono essere semplicemente una manina alzata”.
Critiche che potrebbero far pensare a un addio. E invece “se c’è qualcuno che se ne vuole andare lo faccia, senza sbandierarlo ogni giorno sui giornali. Almeno usciremo da questa dicotomia tra renziani puri e minoranze lamentose che ostacolano il progresso, etichette ormai già appiccicate”.
La picconata è rivolta quindi sia alle minoranze che alla maggioranza, dove “prevale la voglia di fare rispetto a quella di fare bene”. E se Civatti dovesse andarsene? “Credo che se aderisse a un progetto politico, non ne sarebbe lui il leader. Quanto a me, la mia casa è il Pd. Spesso però c’è qualcuno che riesce a non farmi sentire a casa mia”.
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