Continuano nella Corte d’Appello del tribunale di Bologna le arringhe dei difensori degli imputati del processo Coopcostruttori, conclusosi in primo grado con condanne fino a quattro anni e mezzo per Giovanni Donigaglia e per gli ex manager del colosso edilizio argentano. Durante l’ultima sessione a chiedere la completa assoluzione per i propri assistiti sono stati gli avvocati Moser e Pieraccini, difensori rispettivamente dei due vicepresidenti Beppino Verlicchi e Giorgio Dal Pozzo.
Richiesta che hanno puntato in particolar modo sulla buona fede degli imputati e sulla loro incapacità di prevedere il crac che nel 2003 avrebbe portato al fallimento di Coopcostruttori. Non si spiegherebbe altrimenti, secondo Pieraccini, il fatto che fino al 2003 la famiglia di Dal Pozzo continuò fino al giugno del 2003 a investire ingenti somme (fino a 270mila euro) all’interno della cooperativa argentana. Il collasso della società fu insomma secondo l’avvocato un avvenimento imprevisto e imprevedibile, almeno per il ruolo e le competenze che Dal Pozzo ricopriva nella coop.
Gli incarichi dell’ex dirigente erano infatti circoscritti agli aspetti più tecnici degli appalti di Coopcostruttori, dai quali non trasparivano i segnali della crisi aziendale alle porte, a discapito delle decisioni di carattere finanziario e legate ai bilanci dell’azienda. Da qui anche la richiesta di assoluzione per quanto riguarda la presunta falsificazione dei documenti contabili sui quali, secondo Pieraccini, Dal Pozzo non intervenne mai direttamente.
Una linea difensiva che si situa a metà strada tra quella della difesa del principale imputato, l’ex presidente Giovanni Donigaglia (che rigetta l’accusa di aver falsificato i bilanci e punta il dito contro i crediti mai incassati che indebolirono l’azienda), e quella più ‘colpevolsita’ dell’avvocato Tebano, difensore di Antonio Negretto. Secondo cui i vertici di Coopcostruttori erano al corrente delle reali condizioni finanziarie almeno dal 1997, ma la tennero accuratamente nascosta ai soci. Se anche ammesso che ci furono reati legati ai bilanci – questa la linea di Pieraccini – non potevano essere noti a Del Pozzo, che si sarebbe quindi ritrovato a sua volta vittima del crac.