Eventi e cultura
1 Dicembre 2014
Intervista all'ideatrice di "Age", lo spettacolo andato in scena per la prima volta al Comunale con nove giovani ferraresi

Francesca Pennini e la danza degli esemplari adolescenti

di Redazione | 8 min

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Francesca Pennini

Francesca Pennini

di Anja Rossi

Nove esemplari di adolescenti, ferraresi d’origine, età compresa tra i 15 e i 19 anni. Questo è “Age”, lo spettacolo del Collettivo Cinetico che a Ferrara è andato in scena per la prima volta il 27 novembre al teatro Comunale Abbado. Abbiamo incontrato la regista e ideatrice del progetto, Francesca Pennini, che racconta della nascita del progetto Age e del mondo dell’adolescenza di oggi.

L’amore per la danza di Francesca Pennini, ferrarese classe 1984, nasce da piccolissima. Una fulminazione avuta a tre anni, quando i genitori per la prima volta la portano a teatro per vedere “Il lago dei cigni”. Da allora inizia il suo percorso nella danza. “Per molto tempo – spiega la Pennini – non ho nemmeno osato sognarla come una possibile professione per il mio futuro”. Fino ai 18 anni ha unito corsi di danza classica a quelli di ginnastica ritmica, “mettendoci dentro anche tutti i più vari tentativi, da quelli più dance a quelli più meditativi. In ognuno di questi corsi cercavo qualcosa che non riuscivo mai a trovare, spesso in quell’età si hanno tanti desideri latenti, ma non si sa come decifrarli. Poi verso i 18 anni ho scoperto la danza contemporanea e ho capito che era quello che cercavo da tanto tempo. Avrei voluto conoscerla prima. Sono passata poi a qualcosa di più spirituale fino ad arrivare allo yoga. Questo percorso mi ha segnato molto, insegnandomi le possibilità di trasformazione che ha un corpo oltre alla quantità di esercizi che è in grado di fare. Mi ha insegnato la mutevolezza di un corpo”.

Ti sei formata a Londra e hai lavorato per la coreografa tedesca Sasha Waltz. Cosa ti hanno lasciato queste esperienze?

“Purtroppo in Italia non ci sono delle scuole di alta formazione per la danza contemporanea, così sono andata a Londra, anche se non mi sono trovata benissimo e non l’ho terminata, perché non c’era una vera possibilità di esprimere un proprio percorso coreografico, c’erano solo delle regole alle quali dovevi attenerti. Sasha Waltz mi ha preso quasi subito dopo Londra e ho lavorato a Berlino fino al 2009, fu il mio primo vero lavoro. Anche se come interprete di lavori altrui non mi sento molto brava, è stata un’esperienza molto formativa per capire cosa più mi piaceva fare. Mi è servito principalmente per comprendere cosa sta dietro la gestione di una compagnia e i meccanismi del lavoro dall’interno”.

Nel 2007 fondi il Collettivo Cinetico, che come si apprende dal sito è “una rete flessibile e attraversabile di collaborazioni come fucina di sperimentazione nell’ambito del movimento e della sua relazione con musica, video e immagine”. Come nasce questa compagnia e perché hai deciso di tornare a lavorare nella tua città?

“Cinetico per me è una parola basilare. Ricomprende tutto ciò che è mutevole e mobile, non solo nello spazio, ma anche nelle persone coinvolte e nella struttura del progetto. Dal 2010, tornata dall’esperienza di Berlino, ho deciso di coltivare un gruppo di persone e di approfondire un lavoro costante, nel quale è entrato anche Angelo Pedroni come drammaturgo. Per me è molto triste sentire che molti da fuori elogiano le eccellenti stagioni di danza del teatro della mia città, mentre a Ferrara chi segue gli spettacoli o è la solita gente del settore o sono persone che ruotano in questi circuiti. In un periodo come questo credo sia molto importante lottare – e con grandissima fatica rispetto ai miei colleghi esteri – per creare un terreno fertile e investire sul proprio territorio. Il mio desiderio e la mia attitudine verso gli adolescenti va proprio verso questo: far incontrare loro realtà potenzialmente stimolanti. Finché la frustrazione non mi divora, voglio continuare in questa via”.

Una realtà stimolante è stata appunto creata da te e da Angelo Pedroni con lo spettacolo che avete portato al Comunale giovedì 27 novembre. Cosa c’entra John Cage con Age?

“C’entra moltissimo, perché Age non è un lavoro sull’adolescenza, ma è un lavoro su John Cage. Così mi sono chiesta: chi è il performer ideale per reincarnare nel migliore dei modi questa straordinaria figura? Sicuramente un adolescente, sia perché – anche da un punto di vista biochimico – è maggiormente predisposto al rischio rispetto a un adulto, sia perché mi affascina studiare quella fase vitale di passaggio che c’è prima e dopo i 18 anni, un momento comportamentale davvero interessante. Il teatro diventa quindi il luogo di messa a rischio della persona. Non solo del performer, ma anche dello spettatore, perché il teatro è mutevole e non puoi prevedere cosa accadrà al suo interno. Age parte dunque da questo contesto, senza sapere esattamente nulla su come l’avremmo sviluppato. In seguito, dall’apprezzamento delle loro diversità, abbiamo iniziato un processo di catalogazione dei 9 ‘esemplari’, come chiamiamo i ragazzi durante lo spettacolo. Age si è sviluppato quindi in un lavoro che ha una struttura di base, sempre la stessa, ma che nello specifico varia ogni volta, di spettacolo in spettacolo. È il principio di indeterminazione di John Cage. Gli esemplari non conoscono la struttura registica di fondo, e ciò li mette nella giusta tensione di essere pronti a tutto. Dunque c’è rigore marziale, ma alla fine si apre spazio alla delicatezza e al gioco, tipici dei meccanismi dell’adolescenza. Uno spazio nel quale loro sono liberi di decidere costantemente cosa sono e cosa non sono”.

Il lavoro con i ragazzi di Age parte da un “addestramento alla scena”, che inizia col diventare prima di tutto spettatori. Da dove nasce questa scelta?

“Il più delle volte il mondo delle scuole (di danza e in generale di formazione) e mondo della danza non si parlano, e ai giovani non vengono fatti vedere gli spettacoli realizzati da grandi professionisti. Ciò è assurdo. Per me è importante prima di tutto insegnare ai ragazzi come vedere uno spettacolo, portandoli a teatro, per capire quella relazione vitale che esiste tra performer e pubblico. Questa è anche una strategia didattica per comprendere gli strati più sottili del lavoro e per evitare l’effetto ‘saggio del liceo’: fare un gesto atletico o imparare a memoria una canzone sono infatti attività secondarie rispetto all’efficacia con cui riesci a stare su un palco. E questo lo comprendi solo se vedi altri spettacoli, da spettatore”.

La prima edizione di Age è del 2012, mentre quelli che hanno calcato le scene il 27 novembre sono stati i ragazzi scelti per la seconda edizione del progetto. Come si sono presentati gli adolescenti ferraresi e come sono stati selezionati?

“Alla prima audizione di Age si sono presentati 70 adolescenti, mentre alla seconda erano in 120; in entrambe le edizioni abbiamo selezionato nove esemplari di adolescente. Ci tengo a sottolineare che in entrambi i casi non volevamo meccanismi di selezione, ma di informazione. Tra di loro c’era molta competizione e un’aspettativa fortissima, l’avevano presa come una sfida, ma noi volevamo soprattutto che comprendessero nel profondo l’esperienza che stavano facendo, e che tutti, compresi gli esclusi, tornassero a casa con un’esperienza in più, che era quella di scoprire il teatro. La nostra scelta non voleva essere un giudizio sul loro valore, non cercavamo dei professionisti ma un gruppo eterogeneo di adolescenti. Alla fine quest’anno abbiamo scelto sei ragazzi e tre ragazze, il più differenziati possibile per attitudini e interessi. A questi ragazzi richiediamo un forte impegno, oltre a quello della scuola: vengono dunque responsabilizzati e perciò vengono anche pagati, facendo parte a tutti gli effetti della compagnia Collettivo Cinetico”.

Le regionali del 23 novembre hanno segnato il 62% di astensione. Francesca Pennini sorride e va subito a confrontare i dati delle elezioni con la sua tabella di risposte fornite dagli esemplari di Age. Una delle tante domande era infatti “hai fiducia nella politica?” e solo le tre ragazze hanno risposto positivamente al quesito. Francesca, come vedi gli adolescenti che vivono a Ferrara?

“Devo dire che sono molto contenta, perché sono una soddisfazione continua. Non vedo in nessun modo lo stereotipo dell’adolescente intorpidito davanti alla tv o sui social; vedo invece un’esplosione continua di potenziale e di energia. Forse il vero peccato accade una volta finito il liceo, poiché è in quella fase attualmente che è difficile poter incanalare tutto questo potenziale. Non riscontro nemmeno quel senso di omologazione che spesso viene attribuito a questa generazione, hanno delle magnifiche specificità e io sono estremamente positiva nei loro confronti. Personalmente, il mio dispiacere più grande è averne solo nove da seguire e non avere la possibilità economica di dar loro continuità nel progetto una volta finito Age, o un futuro professionale. Purtroppo per ora è così”.

Age ha girato in tutta Italia ed è stato anche a Sarajevo, mentre a Ferrara non era ancora stato portato in scena. Per i ragazzi è stata la prima volta nella città estense. Come hanno vissuto questa esperienza i nove esemplari?

“Per loro la replica a Ferrara è stata molto difficile, perché prevedeva un’esposizione molto grande, oltre al confronto con uno spazio così vasto come quello del Comunale. Dichiarare davanti ai loro prof, alla loro famiglia, agli amici e ai compagni di classe affermazioni sulla propria persona, affermazioni spesso molto intime, è stata la sfida più grossa. Si tratta in fondo di dire la verità su cose personali alle quali saranno chiamati a rispondere. È la sfida più grande, ma – forse, spero – anche la più liberatoria”.

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