Enzo Pontani ha finito di scontare la sua pena e tra sei mesi, quando sarà decorso il suo periodo di sospensione dal servizio, potrà tornare a indossare la divisa della polizia di Stato. Anche l’ultimo dei quattro poliziotti condannati per l’omicidio colposo di Federico Aldrovandi conclude quindi la sua detenzione, iniziata in ritardo rispetto ai tre colleghi Paolo Forlani, Luca Pollastri e Monica Segatto per via del diverso iter giudiziario, ‘rallentato’ a causa di un difetto di notifica.
Pontani infatti, la cui pena da tre anni e mezzo era stata ridotta a sei mesi per effetto dell’indulto, nel febbraio scorso aveva richiesto l’affidamento ai servizi sociali al tribunale di sorveglianza di Bologna, che rigettò la domanda con motivazioni assai nette (vai all’articolo). “Nessun avvio di percorso di rieducazione e recupero può in concreto ipotizzarsi in questo quadro”, scrissero i giudici in una sentenza che teneva conto non solo delle azioni del poliziotto durante quella drammatica notte del 25 settembre 2005, ma soprattutto del suo comportamento che seguì nei mesi successivi. Secondo il tribunale bolognese infatti i quattro agenti “avrebbero dovuto portare un contributo di verità, ad onta delle manipolazioni dei superiori”, quando invece non hanno voluto “squarciare il velo della cortina di manipolazioni delle fonti di prova, tessuta sin dalle prime ore di quel 25 settembre”. Una “violenza ingiustificata prima” e “dissimulazione del vero poi” che gettò “discredito per il Corpo di Polizia cui ancora essi appartengono”.
Un atteggiamento che Pontani tenne anche per tutti gli anni successivi, tanto che nelle motivazioni della sentenza di rigetto si legge anche che “a distanza di 8 anni dal fatto” non ci sono stati segnali “indicativi di effettiva comprensione della vicenda delittuosa e presa di distanza dalla stessa”, ma anzi il poliziotto mostrò “un atteggiamento ancora di difesa del proprio operato” che gli ha impedito “in tanti anni trascorsi fino ad ora di mettere in atto anche solo semplici gesti, per manifestare, come avrebbe ben altrimenti potuto, senza clamore e senza risalto mediatico, la propria consapevolezza della vicenda pensale e umana, nei riguardi dei familiari della vittima”.
Poco tempo dopo l’avvocato Giovanni Trombini, che assiste Pontani, presentò una richiesta anche al magistrato di sorveglianza di Milano (territorialmente competente dopo che l’agente era stato trasferito nel capoluogo ambrosiano per scontare la pena), questa volta per gli arresti domiciliari, in ottemperanza al decreto svuota carceri. L’istanza venne accolta e il 25 aprile scorso cominciò ufficialmente il suo regime di detenzione domiciliare.
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