Cronaca
8 Gennaio 2013
Il fratello: “Piuttosto che lui in prigione avrei voluto mia sorella viva”

Strangolò la moglie per gelosia, condannato a 20 anni

di Marco Zavagli | 2 min

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L'aula C del tribunale di Ferrara

L’aula C del tribunale di Ferrara

Strangolò la moglie per gelosia e mise il cadavere in un sacco dell’immondizia, nascosto sotto il letto. Hassane Jendari, 41enne di nazionalità marocchina, è stato condannato ieri in rito abbreviato dal gup a 20 anni di carcere.

Era la sera del 21 giugno quando Omar Lakhdimi, 40 anni, anch’egli migrante marocchino, dopo giorni passati senza avere notizie della sorella, si reca da Aosta, dove viveva e lavorava prima dell’estate, in via di Mezzo, al civico 16, a Consandolo, frazione di Argenta. In camera trova quel macabro sacco nero da cui usciva una chiazza di sangue. Dentro, con il volto contro il pavimento, c’era Raachida (vai all’articolo).

In casa non c’era nessuno. Né il cognato, che – come si saprà più tardi – era fuggito in Francia, né i nipotini di 4 e 5 anni.

Le ricerche di quello che allora era solo un presunto assassino vennero diramate a livello internazionale. Fu lui stesso, poi, spinto dalla sorella dalla quale aveva trovato rifugio oltralpe, a costituirsi. Jendari il 22 giugno si reca in una gendarmeria francese a Belfort, località prossima alla frontiera tra Francia e Svizzera, e confessa l’omicidio (vai all’articolo). Alla polizia francese dice di averla uccisa per gelosia, per il timore che lei potesse tradirlo.

Ora dovrà scontare 20 anni in carcere, pena ridotta grazie al rito alternativo scelto dall’avvocato difensore, Marcello Vescovi. La pubblica accusa, sostenuta dal pm Nicola Proto, aveva chiesto 30 anni ma, in sede di decisione, il giudice Pira Tassoni non ha ritenuto sussistenza l’aggravante della condotta crudele. Oltre alla pena detentiva, il tribunale ha condannato Jendari al risarcimento danni da liquidarsi in sede civile e a una provvisionale immediatamente esecutiva di 100mila euro per ognuno dei due bambini e 10mila euro a testa per il fratello e la sorella.

“È stata una sentenza molto equilibrata” commenta all’uscita dell’Aula C l’avvocato Marco Di Martino, rappresentante delle parti civili insieme al collega Daniele Ravenna. Non ha voglia di pensare alla condanna invece il fratello, Omar, che da fine giugno vive a Consandolo con i nipotini. Per assisterli, ora che non hanno più una madre e il padre rimarrà in carcere per omicidio, ha lasciato il lavoro di muratore ad Aosta ed è venuto in provincia di Ferrara per vivere con loro in una casa in affitto.

“In Marocco gli avrebbero dato più di 40 anni… – scuote la testa -, ma questo non mi interessa. Non mi interessa che lui vada in prigione né i soldi di risarcimento. Avrei voluto avere mia sorella ancora viva. Non c’è altro da dire”.

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