Eventi e cultura
12 Febbraio 2023
Dopo “Matteotti Medley”a cura di Maurizio Donadoni, la storia contemporanea italiana torna al Teatro Claudio Abbado di Ferrara col recital a due voci con Aldo Cazzullo e Moni Ovadia

Storia, crimini, fascismo e antifascismo sul palco con “Il duce delinquente”

di Redazione | 4 min

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(foto di Marco Caselli Nirmal)

di Federica Pezzoli

Dopo “Matteotti Medley”, a cura di Maurizio Donadoni andato in scena lo scorso ottobre, il Teatro Claudio Abbado di Ferrara venerdì 10 febbraio ha ripetuto l’operazione di portare la storia sul palcoscenico con “Il duce delinquente”, recital a due voci con Aldo Cazzullo e Moni Ovadia, accompagnati da musiche e canzoni dell’epoca suonate dal vivo da Giovanna Famulari.

Portare la Storia, in particolare le sue pagine più buie, a teatro è quasi sempre un rischio, ancora di più se lo si fa durante il Festival di Sanremo. E infatti Cazzullo, firma celeberrima del Corriere, ci scherza su con il pubblico del teatro estense: “Vi ringrazio per essere venuti questa sera, io non sarei mai uscito di casa per venire ad ascoltarmi, sarei rimasto a casa a guardare il Festival”.

Il 10 febbraio però, dal 2004, è anche la data scelta per il Giorno del ricordo per “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale” (L. 30 marzo 2004, n. 92). Ecco allora l’omaggio e il ricordo di Moni Ovadia, al termine dello spettacolo, non solo come interprete, ma anche come direttore del Teatro Claudio Abbado.

Portare la Storia a teatro è un rischio, ma lo è un po’ meno quando sul palco ci sono due nomi e due interpreti come Aldo Cazzullo e Moni Ovadia. Perché se Moni Ovadia non è nuovo a questo tipo di ‘recital civile’ – un titolo per tutti: “Doppio fronte” sulla Prima Guerra Mondiale – le doti e la presenza sceniche del giornalista Aldo Cazzullo sono una piacevole scoperta. Come lo è la bravissima Giovanna Famulari, che insieme a Moni Ovadia interpreta tra pianoforte, violoncello e clavietta, le melodie coeve dei fatti narrati.

Tratto dall’ultimo libro di Aldo Cazzullo “Mussolini il capobanda” (Mondadori, 2022), questo recital porta sulla scena la figura di Benito Mussolini, fin da prima che si costruisse il mito del Duce, e il regime fascista con un preciso obiettivo: dimostrare come la violenza, teorizzata e praticata, fosse intrinseca all’ideologia fascista e smentire l’idea che Mussolini abbia fatto anche cose buone.

Dalla fondazione dei Fasci di combattimento nel 1919, con gli attacchi contro le case del popolo e le leghe bracciantili, tanto che si arrivò a un vero e proprio “sistema Polesine” denunciato da Matteotti, fino alle violenze e alle vendette seguite alla marcia su Roma, con avversari gettati dalle finestre di San Lorenzo a Roma o legati ai camion e trascinati nelle vie di Torino. Anche Ferrara e il nostro territorio tornano spesso: dalla parte delle vittime, con Giacomo Matteotti e don Giovanni Minzoni, e da quella dei fascisti, con il ras e quadrumviro Italo Balbo. 

Ovadia dà voce al duce e ai suoi seguaci, ma fa parlare anche gli antifascisti che hanno perso la vita assassinati, come i fratelli Carlo e Nello Rosselli, o in seguito alle aggressioni e alle ingiustizie subite, come Piero Gobetti e Antonio Gramsci. E poi ci sono i crimini commessi contro i libici, gli abissini, gli spagnoli: “Guernica l’abbiamo fatta anche noi”, dichiara Aldo Cazzullo. Senza dimenticare la cappa di piombo sotto cui il regime ha schiacciato l’Italia: Tribunale speciale, polizia segreta, confino, tassa sul celibato, esclusione delle donne da molti posti di lavoro. E tutto questo prima del 1938. Poi, durante la guerra, Mussolini ha mandato i soldati italiani a morire senza equipaggiamento sulle Alpi, in Russia e nel deserto. Interessanti gli squarci sul suo rapporto con le donne: Rachele, presa in moglie minacciandola con la pistola; Ida Dalser, fatta rinchiudere in manicomio, e Margherita Sarfatti, usata per la scalata politica e sociale e poi costretta a fuggire dopo le leggi razziste. C’è anche una breve incursione nel dopoguerra, quando vengono nominate le stragi di piazza Fontana, di piazza della Loggia, fino al 2 agosto alla stazione di Bologna, e le dittature militari del Sud America.

E in tutto questo gli italiani? Secondo Cazzullo non è vero che sono stati tutti fascisti, però tanti di loro “si rassegnarono a perdere la libertà”. 

Infine, il richiamo alla Costituzione con l’articolo numero tre letto da Moni Ovadia. “L’articolo tre della Costituzione è il contrario del fascismo” perché dichiara che siamo tutti uguali, mentre “il fascismo era la supremazia di qualcuno su qualcun altro”, afferma Cazzullo al termine dello spettacolo. Ecco perché l’antifascismo dovrebbe essere patrimonio comune a tutti gli italiani.

La storia ha preso vita, Ovadia e Cazzullo hanno intrattenuto e risvegliato le coscienze del pubblico. Lo spettacolo coinvolge e commuove, inchioda alla poltrona con la narrazione di Cazzullo e l’interpretazione di Ovadia e Famulari. Il teatro è intrinsecamente uno dei luoghi dove fare divulgazione, dove portare avanti il discorso pubblico, la memoria pubblica; e nell’era della post-verità e della post-memoria questo spettacolo è un prezioso contributo al processo di ‘fare i conti con il passato’. Uscendo dalla sala però si insinua il dubbio che portare la Storia a teatro sia un’occasione da maneggiare con attenzione perché la com-mozione e la com-passione dovrebbero essere il seme gettato per spingere all’approfondimento, alla riflessione e alla conoscenza, intese come processo di messa in discussione di ciò che si sapeva prima.

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