Cronaca
26 Settembre 2025
Il tribunale ha derubricato l'imputazione iniziale, dall'accusa di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti a una contravvenzione del codice ambientale

Traffico illecito di rifiuti, due condanne. Ma l’accusa viene ridimensionata

di Davide Soattin | 4 min

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È finita con due condanne – accompagnate da un sostanzioso ridimensionamento dell’impianto accusatorio – la vicenda processuale che vedeva alla sbarra un’imprenditrice ferrarese di 76 anni e la propria dipendente 48enne, finite inizialmente a giudizio con la pesante accusa di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti. La giudice Sandra Lepore del tribunale di Ferrara infatti, ieri (giovedì 25 settembre) mattina, ha escluso l’ipotesi iniziale più grave, riconducendo la vicenda a una contravvenzione al codice ambientale.

Per le due donne è quindi arrivata una condanna a otto mesi di arresto, con pena sospesa, dopo che il pm Flavio Lazzarini della Direzione Distrettuale Antimafia di Bologna – in sede di requisitoria – aveva chiesto rispettivamente un anno e mezzo e un anno di condanna per le due. Confermata invece, come da richieste della Procura, la condanna a 38mila euro di sanzione per l’azienda del Basso Ferrarese – attiva nel settore dell’autodemolizione e del commercio all’ingrosso di materiale di recupero – di cui le due imputate facevano parte.

Secondo l’accusa iniziale, imprenditrice e dipendente avevano organizzato una gestione abusiva di ingenti quantitativi di rifiuti speciali con l’obiettivo di aumentare i ricavi e al contempo ridurre i costi. Dal 2016 al marzo 2020 infatti, stando alle accuse iniziali, l’azienda – che avrebbe trattato oltre 5 tonnellate e mezzo di materiale ferroso e non ferroso elargendo ai fornitori 1 milione e 800mila euro – aveva ricevuto nel proprio impianto di raccolta veicoli fuori uso e metalli di vario tipo conferiti da parte di privati in modo abusivo, anche se la licenza della ditta prevedeva invece che a conferire potessero essere esclusivamente aziende commerciali, artigianali oppure industriali.

Su questo punto però, durante una delle udienze, la dipendente 48enne aveva spiegato che in realtà l’azienda aveva l’autorizzazione a ritirare alcuni carichi di rifiuti dai privati, tanto che gli operatori del Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, della Polizia Ferroviaria e di Arpae, durante i controlli effettuati negli anni, avevano acquisito la documentazione necessaria a quel tipo di attività senza però aver mai contestato nulla all’operato dell’azienda.

Secondo l’accusa però non avrebbero potuto farlo e, per giustificare il tutto, nelle dichiarazioni di acquisto rilasciate ai privati comparivano dichiarazioni fasulle con riguardo alla persona fisica del conferitore. In numerosi casi, proprio su suggerimento delle imputate, il conferimento – stando al castello accusatorio con cui le due erano state portate a processo – veniva frazionato imputandolo a soggetti diversi, il più delle volte anche a loro insaputa. Ci sarebbero state così dichiarazioni di cessione con firme false o relative a persone che non avevano effettuato la consegna. In questo modo potevano risultare piccoli quantitativi che non avrebbero dato nell’occhio.

Ma i primi sospetti nacquero proprio a causa di questo escamotage: le firme non solo sarebbero state false, ma alcune avrebbero rimandato a persone già decedute. Altre dichiarazioni avrebbero invece riportato dati non veritieri in relazione alla tipologia di rifiuto conferito o in relazione alla quantità dello stesso. In particolare per quanto riguarda il rame, per il quale veniva riconosciuto un prezzo al chilo superiore a quello di mercato, per rendere altamente verosimile l’ipotesi di indicazione in contabilità di costi maggiorati al fine di frode fiscale.

Il tutto venne scoperto durante un sopralluogo della Polfer eseguito il 6 marzo 2020 e le due donne (difese dall’avvocato Giuliano Onorati) finirono a processo con la pesantissima accusa di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti. Ieri però, pur condannando le due imputate, il tribunale di Ferrara ha riqualificato il reato, accogliendo la linea difensiva, che in subordine all’assoluzione aveva chiesto di derubricare l’imputazione a una reato di natura contravvenzionale.

“Siamo parzialmente soddisfatti – commentano gli avvocati – perché l’ipotesi accusatoria iniziale è stata completamente smontata e ridimensionata. Il tribunale ha rilevato alcuni comportamenti non in linea con quanto previsto dalla legge in materia, ma nulla che avesse a che fare col grave reato che era stato ipotizzato relativamente al traffico illecito di rifiuti. Ora attendiamo di leggere le motivazioni della sentenza, che saranno depositate entro novanta giorni, e poi valuteremo se fare appello”.

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