“Nessuno è stato sfruttato e io ne esco a testa alta. Quello che hanno detto i lavoratori in aula? Era falso“. Sono le parole con cui – davanti al collegio del tribunale di Ferrara – la 56enne Elisabetta Zani, all’epoca dei fatti presidente della Cooperativa Agricola del Bidente, ha respinto le accuse per cui – insieme ad altri cinque imputati – è finita alla sbarra nel processo per il presunto sfruttamento di manodopera di lavoratori stranieri durante le operazioni di bonifica dal focolaio di aviaria all’Eurovo di Codigoro.
La donna, oggi impiegata amministrativa della cooperativa, ha ricordato in aula quanto accaduto dopo il 5 ottobre 2018, data dello scoppio dell’emergenza, quando l’Ausl attivò la convenzione con la coop, affidandole l’appalto per la bonifica. “Intervenimmo con cento operatori, tanti quanti erano quelli previsti dalla convenzione” ha esordito Zani. “Cinquanta erano nostri dipendenti fissi, mentre gli altri restanti – ha precisato – li avevamo assunti per poter assolvere alle necessità di un momento davvero molto delicato“.
Così delicato che fu necessario un implemento di personale. “L’Ausl – ha proseguito – ci avvertì che sarebbe stato necessario fronteggiare il virus in tempi ristretti, sollecitando di potenziare ulteriormente la manodopera. Pensammo quindi di ricorrere al subappalto”. È in questo passaggio che Zani ha affrontato una delle contestazioni avanzate dalla Procura: quella di aver subappaltato i lavori alle cooperative Agritalia, Veneto Service e Work Alliance senza aver mai chiesto né ottenuto l’autorizzazione dell’Ausl, come previsto dalla legge.
La cooperativa forlivese, infatti, avrebbe ottenuto un appalto da cinque milioni, ma allo stesso tempo avrebbe poi concesso in subappalto ad altre tre società i lavori di abbattimento dei capi di pollame, di pulizia e disinfezione, in maniera – secondo gli inquirenti ferraresi – indebita.
“L’autorizzazione scritta non fu richiesta – ha spiegato Zani – perché davamo per scontato che, essendo il committente a sollecitarci, ci sarebbe stata concessa. Inoltre, andava chiesta con venti giorni di anticipo rispetto all’inizio dei lavori, e i tempi non erano compatibili con le esigenze urgenti del momento. Usare lavoratori interinali? Non sarebbe stato compatibile rispetto alle tempistiche necessarie. La soluzione più rapida era il subappalto: avevamo già collaborato con quelle società e non avevamo mai avuto problemi”.
Zani ha respinto anche le accuse di truffa ai danni dell’Ausl: “La Cooperativa Bidente ha sempre lavorato onestamente e con impegno per garantire uno stipendio dignitoso ai propri dipendenti, italiani e stranieri. Quanto venuto fuori sottovaluta lo sforzo che la cooperativa ha messo in campo per affrontare un’emergenza notevole, che ha messo a dura prova le nostre capacità. Siamo una realtà piccola, ma abbiamo fatto tutto il possibile per debellare un virus che ha fatto tremare l’Ausl. Escludo di aver gonfiato qualsiasi cifra“.
La donna è stata sentita anche sull’approvvigionamento e la fornitura dei dispositivi di protezione individuale che i lavoratori impegnati nelle operazioni di bonifica avrebbero dovuto utilizzare. Secondo il racconto dell’ex presidente, l’ordine di acquisto e distribuzione del materiale era stato dato dal 67enne Ido Bezzi, direttore dei lavori all’epoca dei fatti e oggi anch’egli imputato. Nelle scorse udienze, però, gli operai avevano denunciato in aula le precarie condizioni igienico-sanitarie in cui erano costretti a lavorare per dpi scarsi o mancanti.
“Quello che hanno detto i lavoratori era falso“, ha tuonato Zani. “Ne avevano a sufficienza e sono stati usati perché sono stati smaltiti. Abbiamo calcolato novemila ingressi dall’inizio alla fine dell’emergenza e ci sono documenti relativi ad acquisti e scorte effettuate per tutta la durata delle operazioni”. Tutta la documentazione – ha fatto sapere la difesa – è contenuta in tre faldoni prodotti durante l’udienza. L’ex rappresentante legale ha inoltre fatto riferimento a un formulario specifico per lo smaltimento dei dpi utilizzati, che dovrebbe essere presentato nelle prossime udienze.
In aula è stata ascoltata anche una commercialista, consulente della difesa, che – analizzando il contratto tra l’Ausl e la Coop Bidente, il conteggio degli orari, i costi della cooperativa in relazione ai dipendenti, le richieste e i rapporti economici – ha verificato l’assenza di anomalie nell’offerta e nel rapporto con i subappaltatori. “La cooperativa – ha riferito la consulente – non ha lucrato nulla, ma ha operato senza ledere gli interessi dell’Ausl o di altri soggetti. Anzi, è andata in perdita. L’utilizzo del subappalto, necessario per l’urgenza e l’entità degli interventi, e non per pregiudicare gli interessi della stazione appaltante, ha infatti compromesso la redditività della cooperativa“.
Ha voluto invece rendere dichiarazioni spontanee il 48enne Gimmi Ravaglia, a processo come vicepresidente della Coop Bidente. Anche lui ha respinto le accuse mosse dalla Procura: “L’incarico lo avevo solo se Zani non era presente, ma non c’è mai stata esigenza. E quando sono successi i fatti non ero operativo, né amministrativamente né in cantiere. Non ho seguito la vicenda, anche perché dal 2017 svolgo il lavoro di autista sulle ambulanze del 118 a Forlì”.
L’inchiesta – lo ricordiamo – prese le mosse dall’incidente avvenuto lungo l’autostrada A13, nella notte tra il 25 e il 26 novembre 2017, quando un furgone su cui viaggiavano dodici cittadini di nazionalità straniera, di ritorno dall’impianto Eurovo di Codigoro, si ribaltò. Nello schianto perse la vita il 62enne marocchino Lahmar El Hassan, autista del veicolo, residente in provincia di Verona. Da lì, l’avvio delle indagini della Procura di Ferrara fino alla scoperta di un presunto caso di caporalato nel Basso Ferrarese.
Oltre ai tre della Cooperativa Agricola del Bidente, a processo ci sono anche il 60enne Abderrahim El Absy della Coop Work Alliance di Cesena, il 63enne Ahmed El Alami della Coop Agritalia di Verona e il 59enne Lahcen Fanane della Coop Veneto Service di San Bonifacio, in provincia di Verona.
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