“Chiedo l’assoluzione perché il fatto non sussiste”. Così l’avvocato Gian Luigi Pieraccini durante l’arringa difensiva nell’udienza che vede imputato Roberto Mascellani (assistito insieme all’avvocato Andrea Zarbo), accusato di bancarotta fraudolenta dopo i fallimenti di Magazzini Darsena, Partxco e Sinteco. Pieraccini ha parlato a lungo, oltre tre ore, cercando di controbattere punto per punto, davanti ai giudici Sandra Lepore con a latere Marco Peraro e Giovanni Solinas, alla requisitoria del pm titolare del fascicolo Stefano Longhi.
I difensori hanno chiesto l’assoluzione da tutti i capi di accusa e la restituzione del denaro oggetto di sequestro. In merito alle richieste risarcitorie avanzate dal fallimento di Magazzini Darsena (oltre 32 milioni di euro) hanno quantificato in soli 200mila euro il danno massimo risarcibile nell’ipotesi di condanna e ciò per l’effetto delle azioni di rinunzia e transattive compiute dal fallimento in precedenza nella sede civile .
Il legale lo ha definito “un processo pieno di contraddizioni” e sostenuto l’insussistenza di ogni responsabilità ascrivibile a Mascellani considerando erronea la tesi dell’accusa per cui l’ingegnere 73enne sarebbe stato dominus unico incontrastato del Gruppo Sinteco.
“Mascellani non ha avuto nessun arricchimento personale” ha detto l’avvocato difensore sostenendo quindi che non vi sia stata la distrazione di denaro, circa 30 milioni di euro, come invece sostenuto dalla Procura. “Non ha gettato fumo negli occhi”, semplicemente l’attività imprenditoriale “è per sua natura esposta a forti tratti di incertezza” con “il rischio ricorrente nei processi per bancarotta che è quello di criminalizzare il rischio di impresa”.
“Quando si dice – continua Pieraccini – che dovevo prevedere la crisi del 2008 e non l’ho prevista per cui sono un cattivo imprenditore chiaramente riportiamo il processo in un alveo che è quello della colpa imprenditoriale che è ben diverso da quello del dolo che deve attenere ai temi di cui ci stiamo occupando”.
“Dobbiamo riportare – aggiunge – il processo nel canale in cui deve va e cioè se questi finanziamenti sono stati fatti con vantaggio compensativo”. Vantaggio che la difesa sostiene non esserci oltre al fatto che questo andrebbe, è la tesi assolutoria, “verificato all’interno del gruppo” e non solo di una singola società di questo.
Gli avvocati difensori sostengono che le operazioni distrattive contestate dal pm in due dei tre capi di imputazione sarebbero consentite sulla base dei vantaggi compensativi in campo alla società che erogava i finanziamenti, vantaggi derivati principalmente dalle garanzie fideiussorie rilasciate al sistema bancario dalla varie società a beneficio una dell’altra.
Hanno anche rimarcato che dal perimetro del gruppo non sono uscite risorse finanziarie a vantaggio dell’imputato o di altri. A sostegno di questa tesi Pieraccini e Zardo si sono fatti forza del “riconoscimento” avuto indirettamente dal consulente tecnico dell’accusa, che nelle sue conclusioni non “imputa” a Mascellani vantaggi per tali movimenti.
All’epoca dei trasferimenti non ci sarebbe stato danno per i creditori in quanto – sostengono gli avvocati durante l’arringa – le operazioni sarebbero state poste in essere molto antecedente all’insorgere dell’insolvenza. Un principio che riprendono dalla stessa Procura di Ferrara che lo avrebbe applicato nella richiesta di archiviazione poi accolta nel processo Carife 2.
Viene quindi spiegato che tutti i trasferimenti in denaro imputati sarebbero stati regolarmente annotati nei bilanci societari fin dal 2006 e nessuno di questi sarebbe stato contestato dal pool di banche (Carife capofila) titolari del diritto di pegno sulle quote societarie e quindi del diritto di approvazione dei bilanci.
Si torna in aula il 26 settembre per le repliche e la sentenza.
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