Attualità
7 Giugno 2025
Alla festa della Curva la presentazione del progetto “Aldro scrive con noi” del collettivo Laps. “Una delle cose più belle che potevate regalare a Federico, ma anche a voi stessi”

Lino Aldrovandi abbraccia la Ovest: “La Spal siete voi, andatene fieri”

di Redazione | 4 min

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“Un bacio a quelle due bandiere, un abbraccio a chi tutte le domeniche le sventola”. Così ha iniziato il suo intervento Lino Aldrovandi, padre di Federico, davanti alla Curva Ovest. Ed è stato un inizio che ha già detto tutto: perché dietro quelle parole non c’era solo la gratitudine verso una tifoseria, ma il riconoscimento profondo e sincero di una comunità che da vent’anni non ha mai smesso di ricordare, lottare, restare umana.

“Sarei dovuto essere nonno, invece sono rimasto papà”. Una frase che ha lasciato un silenzio sospeso, pesante come un macigno, al cui interno c’è tutta la tragedia di una vita spezzata, quella di Aldro, ucciso nel 2005 da chi avrebbe dovuto proteggerlo. E c’è la voce di un padre che, anche a distanza di due decenni, non ha smesso di portare il suo dolore con dignità, trasformandolo in memoria, testimonianza, esempio.

L’occasione è la Festa della Curva Ovest, arricchita dalla presentazione del progetto “Aldro scrive con noi”, una raccolta di racconti realizzati da persone diverse, da giovani, molti dei quali nel 2005 non erano ancora nati. Un’iniziativa del collettivo Laps che ha saputo trasformare la memoria in cultura, impegno e consapevolezza.

“Una delle cose più belle che potevate regalare a Federico, ma anche a voi stessi”, ha detto Lino, visibilmente commosso. “Perché aiuta a crescere in un’epoca sempre più difficile, a guardarsi intorno, a distinguere tra bene e male, a non dare mai nulla per scontato. E a non credere sempre alle versioni ufficiali”.

La forza delle sue parole è esplosa anche quando ha toccato il tema più caldo del momento: il destino della Spal. Joe Tacopina non ha adempiuto alle scadenze economiche per poter iscrivere la società al prossimo campionato di Serie C. “Dicono che sia un John Wayne – ha ironizzato Lino – ma qui non servono cowboy da copertina: servono persone vere, responsabili, capaci di rispettare una città e chi ci lavora dentro, come i 120 dipendenti ora appesi a un filo”.

E ancora una volta, come un riflesso naturale, Lino è tornato a rivolgersi alla Ovest: “Ferrara e la sua gente non meritano questo. Voi siete il vero cuore pulsante della Spal. E lo avete dimostrato ancora, il 17 maggio scorso, quando sembrava di essere a una finale di Coppa dei Campioni, non a una partita per non retrocedere tra i dilettanti”.

Ma il suo discorso si è fatto ancora più universale, andando oltre le curve dello stadio, per abbracciare le tragedie umanitarie del mondo. Con parole chiare, dure, senza retorica ha parlato della guerra in Ucraina e della strage in Palestina, “dove ogni sera la televisione ci mostra bambini senza gambe, genitori con i figli morti in braccio”. Immagini strazianti, ha detto, che dovrebbero scuotere le coscienze, ma che spesso passano in mezzo a un “Isola dei Famosi” o un “Aria che tira”.

“Viviamo in un tempo orribile, dove la violenza è padrona – ha continuato Lino -, 56 guerre sono in corso nel mondo. E le vittime sono sempre le stesse: innocenti, inermi, bambini. Possibile che chi dà ordini di morte non riesca più a guardare i propri figli negli occhi?”.

Ha poi raccontato un episodio tenero, che ha saputo commuovere tutti: “Una bimba mi si è avvicinata al Black Star, mi ha chiesto se ero il papà di Federico. Mi ha detto che ci somigliamo. Così mi ha regalato un disegno. Era mio figlio. Quella voce, quello sguardo mi hanno ricordato il mio bambino. Perché un figlio, a qualsiasi età, rimane sempre il tuo bambino”. E in mezzo a tanto dolore, Lino non ha dimenticato di dire ciò che conta davvero: “Non fatevi mai prendere dallo sconforto. Ragionate con la vostra testa. E mai, mai con la violenza”.

Un intervento intenso, quello di Lino. Carico di tutto ciò che una comunità dovrebbe sempre tenere nel cuore: memoria, giustizia, dignità, compassione. E ha chiuso con un’affermazione che va oltre ogni appartenenza sportiva: “La Spal è Ferrara. Ma la Spal siete voi, Curva Ovest. E andatene sempre fieri”.

Così, in una sofferta sera di giugno, tra le bandiere che sventolano, i cori che ancora urlano il nome di Federico, e gli occhi lucidi di chi non dimentica, Ferrara ha dimostrato una volta di più che può cadere sul campo, ma non nella coscienza. Perché là dove c’è memoria e giustizia, là vive ancora un ragazzo di diciotto anni. E con lui, il cuore di una città.

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