di Elena Coatti
Domenica 13 aprile, in pieno pomeriggio, una giovane studentessa è stata vittima di molestie in via Montebello. Dopo aver sporto denuncia contro ignoti, ha trovato il coraggio di raccontare pubblicamente la sua esperienza, ricevendo pieno sostegno dal Collettivo Transfemminista di Ferrara. Abbiamo deciso di darle voce, perché la sua storia non è solo un episodio individuale, ma testimonia anche la forza collettiva dei movimenti che l’hanno supportata.
Hai deciso di rivolgerti subito al collettivo transfemminista. Come mai questa scelta?
Dopo essermi recata dai Carabinieri, ho scelto di rivolgermi a loro il giorno successivo alla molestia. Già la sera stessa, invece, la mia coinquilina aveva descritto al collettivo quanto successo per avvisare più persone possibili del pericolo. Mi sono rivolta a loro perché conosco alcune delle persone che ne fanno parte e, in passato, avevo partecipato alle loro manifestazioni. In quelle occasioni ho percepito immediatamente che il loro è un ambiente sicuro e tramite il quale si può concretizzare una denuncia collettiva.
Cosa ti ha spinto a raccontare pubblicamente la tua esperienza?
L’ho fatto affiancata dalla mia famiglia e dai miei amici. Volevo che potesse essere utile a tutte quelle persone che hanno vissuto situazioni simili e si sono sentite sole. Penso che raccontare sia il primo passo per rompere l’isolamento e far capire che non si è mai davvero soli in queste situazioni.
Hai cercato un confronto con altre donne nei giorni successivi. Cosa hai scoperto?
Ho parlato con molte donne e quasi tutte mi hanno detto: “È successo anche a me”. Sentire quella frase ripetersi così tante volte è stato sconvolgente, ma mi ha fatto capire quanto sono importanti le testimonianze e la denuncia di tutte. Parlarne pubblicamente è fondamentale per creare una rete di solidarietà che consenta a tutte le vittime di non sentirsi abbandonate, in particolare nei giorni successivi agli eventi. Quando, per esempio, uscire di casa per sporgere denuncia, andare al lavoro o all’università diventa difficilissimo.
Come hai vissuto la reazione del collettivo?
È stata una risposta forte, concreta, ma soprattutto confortante. Mi sono sentita ascoltata, accolta, non sola. Ho avuto la consapevolezza che c’erano altre persone pronte ad alzare la voce con me, a denunciare insieme. Il loro messaggio, “Se toccano una, rispondiamo tutte”, è stato potentissimo.
Cosa chiedi oggi, dopo quello che hai vissuto?
Chiedo educazione al rispetto. Chiedo sicurezza per le strade. Chiedo che nessun’altra persona debba vivere la paura di subire una molestia in pieno giorno, camminando per strada. Nel mio gruppo di amiche è normale dirsi dopo i saluti “vuoi che ti faccia compagnia al telefono mentre sei per strada?”, oppure “stai attenta, scrivimi quando arrivi a casa”. È giusto che questo tipo di premura esista, ma non dovrebbe essere la norma. Mi auguro che unendo le nostre voci, con più denunce, più sorveglianza, più sicurezza e, soprattutto, attivando percorsi educativi concreti che coinvolgano tutti, dai bambini agli adulti, si possa finalmente vivere in un Paese in cui queste frasi siano solo un ricordo. E non la quotidianità.
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