di Elena Coatti
Ci sono donne che, già un secolo fa, affrontavano temi “che noi in Italia facciamo ancora fatica a portare oggi”. Sono le donne afroamericane del blues, sconosciute ai più e sommerse dalla storia e dai colleghi maschi e bianchi, che la musicista padovana Elisa De Munari riporta alla luce nel suo libro “Countin the blues. Donne indomite”.
Da Ma Rainey a Bessie Smith, undici storie di artiste coraggiose che sul palco hanno parlato di sessualità in modo esplicito, di stupro, di diritto al lavoro o di maternità. “Temi che difficilmente vengono cantati nel nostro Paese – dice l’autrice – se non dalle ragazze del rap o della trap, che ringrazio per questo”.
Elisa De Munari, in arte Elli de Mon, è laureata in Dams Musica, diplomata in contrabbasso classico e in tradizioni musicali extraeuropee, in particolare in sitar.
Nel pomeriggio di domenica 9 marzo, ha chiuso la giornata di celebrazione della resistenza transfemminista, organizzata dal Cps La Resistenza, presentando il suo libro sulle note di “Freight train” di Elizabeth Cotten e di “Prove it on me” di Ma Rainey.
Elli de Mon, innamorata del blues, racconta di come tutto sia partito dai mercatini di dischi, “quelli vecchi venduti a cinquanta centesimi”. Ciò che l’ha colpita sono stati i testi delle canzoni delle donne afroamericane, le quali “vengono spesso citate dagli uomini come frivole e commerciali”, scoprendo invece che sono estremamente politici. “Quando ho cercato scritti sulle donne del blues ho trovato il vuoto totale – continua Elli de Mon -. Queste donne sono sconosciute ai più, ma in realtà furono molto di più rispetto a una moda passeggera”.
Il corpo nero afroamericano veniva utilizzato per qualsiasi forma di carattere utilitaristico e mercificato come bene di consumo. La musica è stata così una forma di resistenza, prima nel blues, nel jazz e poi nel rap. “Nel blues le donne sono state portatrici di una rivoluzione culturale – spiega l’autrice – perché attraverso la musica c’era un senso di riappropriazione di quello che era lo spazio fisico che attraversava la società”.
“Attraverso il canto queste artiste hanno manifestato la loro presa di posizione contro una società che le denigrava e che le voleva relegate nel loro piccolo contesto”, racconta Elli de Mon prima di citare una donna che, per puro caso, ebbe la fortuna di prendere in mano una chitarra e di scoprire di essere un vero e proprio talento. È la storia di Elizabeth Cotten, una grandissima chitarrista e ideatrice di una tecnica che porta il suo nome, il “Cotten picking”.
Cotten era mancina, quindi imbracciava la chitarra capovolgendola e suonando le linee di basso con le dita e la melodia con il pollice. “Un fenomeno – afferma Elli de Mon -, ma mai citata nei libri di chitarra, tanto meno nei manuali”. Registrò anche i suoi pezzi, “ma non vide mai un penny perché tutti i ricavi andarono ai tizi bianchi dello studio”.
Storie di donne afroamericane che un segno, seppur cancellato, l’hanno lasciato nel mondo della musica. Atti di resistenza di cui oggi ne apprezziamo la portata sociale. Come quello di Bessie Smith, detta “l’imperatrice del blues”, che anticipò lo slogan femminista “il personale è politico” cantando delle violenze quotidiane che subiva dal suo compagno, e dando coraggio a tante altre donne.
“Le donne afroamericane mi hanno insegnato tanto – conclude Elli de Mon -, a loro sono infinitamente grata. Non potevo non rendere loro omaggio con questo libro”.
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