Quando pensa all’ultima volta insieme, tutti e tre seduti a tavola, Luca Biondi, fratello di Sandro, il 53enne accusato di aver ucciso nel sonno la madre, l’80enne Maria Luisa Sassoli, piange. Poi, incalzato dalle domande del pm Andrea Maggioni, dopo essersi asciugato le lacrime e aver schiarito la voce, riprende a raccontare quelle ore prima che la donna venisse soffocata con un cuscino, mentre si trovava nel letto della sua casa di via Argante al Barco.
L’omicidio della donna, gravemente malata, si era consumato il 23 febbraio 2023, un giorno prima del suo trasferimento in casa di riposo. “Una decisione presa di comune accordo” spiega Biondi, sentito ieri (18 settembre) in aula come testimone, davanti alla Corte d’Assise. “Mio fratello mi disse che non ce la faceva più e che bisognava trovare una soluzione. Così fu lui a contattare gli assistenti sociali per le pratiche necessarie al ricovero nella struttura” aggiunge.
“Il 22 febbraio eravamo rimasti fuori a pranzo dopo una visita perché avevamo appuntamento con la casa di riposo dove nostra mamma sarebbe andata il 24 febbraio” prosegue, quando la commozione prende il sopravvento e il racconto si interrompe. Fu una scelta necessaria, dopo i peggioramenti progressivi della donna, con l’insorgere dei primi acciacchi fisici tra il 2012 e il 2013 fino all’autunno del 2022, quando la situazione – anche a livello mentale – ne rese impossibile la cura e la gestione quotidiana a domicilio.
Durante la serata del 22 febbraio però succede qualcosa di totalmente inaspettato, ‘spia’ impercettibile di ciò che sarebbe successo. “Mi telefonò mia madre – prosegue Biondi – e mi disse che Sandro aveva cambiato idea e che non voleva più che andasse in una struttura“. È l’ultima volta che i due si sentono. Il giorno seguente, infatti, la madre viene uccisa nel sonno dal fratello dell’uomo, che negli ultimi anni “aveva ridotto i rapporti sociali con le altre persone” per stare con la donna.
Sandro Biondi e Maria Luisa Sassoli vivevano insieme, da soli, da oltre ventun anni, prima nell’abitazione di via Oroboni e poi in quella del Barco. Per l’esattezza dal 2001, dopo la separazione della donna dal marito e la decisione del figlio più grande, Luca, di uscire di casa e guadagnarsi la propria indipendenza. “Fino a quando sono rimasto io in casa – aggiunge il testimone – i rapporti erano normali, non andavano male e i conflitti erano quelli di ogni famiglia”.
“Si può dire – afferma – che qualcosa sia cambiato dopo il 2001. Inizialmente, nonostante vivessero a stretto contatto, mia madre e mio fratello avevano i loro spazi reciproci. Lui lavorava, aveva le sue amicizie e li vedevo in maniera frequente 2-3 volte a settimana, quasi sempre anche il sabato a pranzo. Un’abitudine che abbiamo mantenuto fino al 2023“. Nel frattempo però – come si diceva – la donna si era ammalata, il fratello aveva perso il lavoro e la situazione aveva iniziato a precipitare.
“Ultimamente – racconta Biondi – Sandro era molto giù, molto depresso. Non vedeva prospettive per sé stesso. Era davvero stressato. Pensavo che la casa di riposo lo avrebbe tranquillizzato e lo avrebbe aiutato a recuperare i suoi spazi, dal momento che dal 2012 era perennemente al servizio di nostra madre, prenotando visite mediche, andando dal dottore o passando in farmacia quando serviva. E invece – conclude – il fatto che andasse in una struttura lo preoccupava per il suo futuro“.
Dal canto suo, l’anziana – secondo quanto emerso durante l’udienza – non gli avrebbe risparmiato pesanti critiche. “Mia mamma – aggiunge il fratello dell’imputato – non era molto gentile con lui. Lo vedeva come un bambino e quando glielo facevo notare mi diceva che lo trattava in quel modo per il suo bene. Inoltre, si lamentava frequentemente di come faceva le cose, aveva atteggiamenti bruschi e lo seguiva. Spesso usava me come esempio per criticarlo”.
In aula – ieri – è stato sentito anche lo psichiatra Luciano Finotti, consulente della Procura di Ferrara, che – oltre a escludere la pericolosità sociale di Biondi, accusato di omicidio volontario aggravato – ne ha confermato la capacità di intendere e di volere al momento del fatto, pur riconoscendo “tratti di personalità disfunzionale e un disturbo ansioso-depressivo“, aggiungendo che non è socialmente pericoloso.
Si torna in aula il 21 novembre per la discussione.
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