Cronaca
28 Marzo 2024
Prosegue il processo relativo a quanto successo nel 2017 all'interno dello stabilimento dell'Eurovo di Codigoro, colpito dall'aviaria. Parla uno dei presunti sfruttati: "Chi come me non aveva i documenti, per entrare doveva scrivere il suo nome e cognome su una lista e accanto fare la sua firma"

Caporalato. Un “contratto morale” per ottenere il permesso di soggiorno

di Davide Soattin | 4 min

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Una settimana lavorativa di sette giorni su sette, senza ferie, con soli trenta minuti di pausa pranzo e una paga da 7 euro all’ora, inizialmente promessa ma alla fine mai corrisposta. Queste le principali clausole del “contratto morale” – come lui stesso l’ha definito – che un 51enne di nazionalità senegalese dice di aver ‘sottoscritto’ con Ahmed El Alami della Coop Agritalia di Verona per svolgere – a sua insaputa – le operazioni di bonifica del focolaio di aviaria che scoppiò il 5 ottobre 2017 nello stabilimento Eurovo di Codigoro, dove gli inquirenti, coordinati dal pm Andrea Maggioni, avrebbero scoperto un vasto sfruttamento di manodopera di operai stranieri.

Ieri (27 marzo) – sentito in aula insieme ad altri nove ‘colleghi’ – l’uomo ha ripercorso davanti ai giudici quella che è stata un’esperienza lavorativa che, nonostante sia durata pochi giorni, per certi versi resterà traumatica nei suoi ricordi. ‘Assunto’ dopo un colloquio alla stazione di Padova infatti, senza sottoscrivere alcun documento e dietro la promessa di ottenere il permesso di soggiorno, l’uomo aveva iniziato a lavorare nel Basso Ferrarese il 20 novembre 2017 ma, appena sei giorni dopo, nella notte tra il 25 e il 26 novembre 2017, il furgone su cui stava tornando a casa insieme ad altri undici cittadini di nazionalità straniera, come lui lavoratori all’impianto Eurovo, si ribaltò lungo l’A13.

Da quel tragico schianto in autostrada, in cui perse la vita il 62enne marocchino Lahmar El Hassan, autista del veicolo residente in provincia di Verona, prese le mosse – a suo tempo – la vicenda giudiziaria finita oggi in davanti al collegio del tribunale di Ferrara.

Durante la propria deposizione, oltre a ricordare l’incidente mortale, l’uomo, arrivato in Italia nel 2015, ha ricostruito le condizioni in cui era stato costretto a lavorare all’Eurovo per conto della Coop Agritalia. “C’era un uomo davanti alla porta dello stabilimento – ha ricordato – che chiedeva i documenti e, chi come me non li aveva, per entrare doveva scrivere il suo nome e cognome su una lista e accanto fare la sua firma. Poi ci indicavano dove andare all’interno del magazzino per cambiarci prima di iniziare. Le ore di lavoro erano otto, ma spesso succedeva che per tornare a casa bisognava aspettare anche tutta notte l’arrivo del furgone, senza che ci fosse un posto in cui poter riposare”.

Il quadro che è stato ricostruito dal 51enne parla di condizioni igienico-sanitarie precarie: “Indossavamo le stesse tute che si toglievano quelli che avevano appena finito il turno oppure che trovavamo appese, ma mai tute nuove di cui dovevamo aprire la confezione. Stessa cosa per le scarpe, che prendevamo da qualcuno del turno precedente e lavavamo con l’acqua prima di indossarle di nuovo. Era diverso invece per le mascherine. Lì ne avevamo di nuove, ma quando ne aprivo una poi me la portavo via a fine turno e la riutilizzavo quando tornavo al lavoro. Avevamo anche occhiali e guanti, ma non c’erano docce“.

C’erano inoltre polli morti nelle gabbie – ha aggiunto – che erano lì da tempo e provocavano cattivi odori. Nessuno però ci aveva informato sul tipo di attività che saremo andati a svolgere. Ho saputo solamente dopo che c’era una epidemia. Per turno lavoravano circa 20-25 persone e mi ricordo inoltre che c’erano alcuni dipendenti di Eurovo che venivano dentro e vedere come stavamo lavorando e, se facevamo qualche errore o non piaceva il modo in cui avevamo pulito, ci facevano tornare indietro e rifare il lavoro“.

Per i fatti che vengono contestati dalla Procura di Ferrara sono oggi a processo i legali rappresentanti della forlivense Cooperativa Agricola del Bidente (Elisabetta Zani, 51enne, presidente, il suo vice Gimmi Ravaglia, forlivese di 44 anni, e Ido Bezzi, 63 anni, dipendente della cooperativa) e poi Abderrahim El Absy della Coop Work Alliance di Cesena, Ahmed El Alami della Coop Agritalia di Verona e Lahcen Fanane della Coop Veneto Service di San Bonifacio, in provincia di Verona.

Nello specifico, Zani e Ravaglia (Coop del Bidente) dovranno rispondere anche del reato previsto per aver subappaltato la bonifica di Eurovo alle Coop Agritalia, Veneto Service e Work Alliance, senza alcuna autorizzazione da parte dell’Ausl. La cooperativa forlivese, infatti, avrebbe ottenuto un appalto da cinque milioni, ma allo stesso tempo avrebbe poi concesso in subappalto ad altre tre società i lavori di abbattimento dei capi di pollame, di pulizia e disinfezione, in maniera – secondo gli inquirenti – indebita e senza l’autorizzazione dell’Ausl.

 

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