“Se il servizio di vigilanza fosse stato correttamente sospeso o quanto meno se Verri fosse stato reso edotto del pericolo, costui si sarebbe astenuto dal prestare volontariato, considerato che non era armato e non aveva un addestramento per la repressione del crimine”. Sono le motivazioni della sentenza con la quale il tribunale di Ferrara ha condannato lo scorso dicembre la Provincia di Ferrara a risarcire con oltre 1,1 milioni di euro i familiari di Valerio Verri, la guardia ecologica volontaria assassinata da Norbert Feher, soprannominato Igor il Russo, l’8 aprile 2017, mentre si trovava di pattuglia con il poliziotto provinciale Marco Ravaglia, nelle campagne del Mezzano.
La giudice Alessandra De Curtis ravvisa in capo all’ente del Castello la responsabilità del decesso di Verri, “da considerarsi alla stregua di un infortunio sul lavoro”.
E questo perché, dopo i primi delitti del 30 marzo (guardia giurata rapinata della pistola) e del primo aprile 2017 (omicidio di Davide Fabbri a Budrio) “vi era la conoscenza che Igor Vaclavic (il primo alias con cui era conosciuto Norbert Feher, ndr) si nascondesse nelle zone di Argenta e Portomaggiore, essendo peraltro stato rinvenuto un suo bivacco il 3 aprile a Consandolo”.
Nonostante ciò, “la Polizia Provinciale in modo negligente ed imperito – appunta la giudice – non sospendeva il servizio dei volontari in quelle zone, né poneva alla loro attenzione il pericolo, sicché la guardia giurata volontaria Valerio Verri cadeva vittima dell’assassino senza avere mai ricevuto informazione in merito al concreto pericolo cui si esponeva nello svolgere il servizio di vigilanza volontaria”.
È emerso infatti, nel corso della causa intentata dai familiari della vittima, assistiti dagli avvocati Fabio Anselmo e Rita Gavioli, che “l’organizzazione di pattuglie miste, cioè di volontari in coppia con agente armato era non infrequente nei servizi diurni, onde consentire un più efficace controllo del territorio, mentre di notte il servizio era svolto solo da agenti. Il pattugliamento misto ha continuato a svolgersi anche dopo l’uccisione del volontario Verri, anche se i volontari dell’Associazione Legambiente non sono più usciti in coppia con agenti, pur continuando a svolgere servizio di vigilanza in coppia tra loro”.
E quindi “poiché il volontario potrebbe trovarsi ad operare in contesti e situazioni di maggiore pericolosità, anche solo determinati – proprio come nel caso di specie – dall’essere associato ad un agente armato, ciò fa sorgere in capo all’organizzazione che beneficia dell’attività del volontario l’obbligo di protezione e garanzia”.
Per non parlare dei dispositivi di protezione: a fronte di un pattugliamento misto insieme ad agente armato pare, ad esempio, secondo il giudice sarebbe logico prevedere l’uso da parte del volontario di un giubbotto antiproiettile (altra misura potrebbe individuarsi nello spray antiaggressione).
“E’ palese, in un tale contesto – qui il punto cardine della sentenza -, che quella che era iniziata come una normale attività di accertamento di una violazione amministrativa si era trasformata nell’inseguimento di un uomo che voleva sottrarsi a tutti i costi alla vista e al controllo di una pattuglia di Polizia”.
“Valerio Verri non doveva essere in quell’auto – commenta a margine l’avvocato Anselmo – e non avrebbe dovuto trovarsi a fare un inseguimento di un pericolosissimo criminale. Noi lo abbiamo sempre sostenuto e ora lo dice anche il tribunale di Ferrara che ci ha dato ragione”.
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