Non è da oggi che i fascisti tirano per la giacca Tolkien per metterlo tra i padri nobili del pensiero di destra. Già negli anni ’70 il Fronte della Gioventù (i balilla dell’epoca) chiamarono “Campi Hobbit” il loro raduni.
I motivi di questa passione sono relativamente facili da intuire, le tradizioni nordiche, i miti celtici, gli eroi valorosi e coraggiosi che difendono la terra e le fanciulle: c’è tutto l’armamentario del maschio guerriero. Ma probabilmente l’innamoramento definitivo della destra per Tolkien sorge dal fatto che in quella saga il male è radicale, assoluto e irredimibile, ed in più è facilissimo da riconoscere.
Sauron è un distillato di odio senza rimedio, e per questo la sua presenza è come un balsamo per il pensiero di destra. Sauron lo salva dalla cosa che teme di più, quella che lo getta nel panico; il mondo è complesso.
Non va dimenticato che “Lo Hobbit” nasce come una fiaba che Tolkien inventa per affascinare i figli piccoli prima di dormire.
L’allergia alla complessità e la propensione irriducibile a ridurre il mondo in categorie semplici sono le caratteristiche di sempre del pensiero di destra, che guarda con sospetto “il troppo pensare” della sinistra (e talvolta ha ragione).
Tuttavia, la saga del Signore degli Anelli è in realtà un universo ben più complesso di quello che sembra. Sono possibili molteplici livelli di lettura e i personaggi sono molto più ambivalenti e tormentati della raffigurazione che superficialmente viene data. Molti di loro sono specchi esemplari dell’inquietudine umana.
A Tolkien, e al mondo del Signore degli Anelli, è dedicata una mostra appena inaugurata a Roma. Sono felice che si celebri questo autore. Bene anche che la Meloni vada a visitarla di bianco vestita (come Gandalf dopo il ritorno dagli inferi).
Tolkien è un gigante della letteratura e la sua opera è un patrimonio dell’umanità.
Mi piace ricordarlo per questo episodio, di cui forse nei Campi Hobbit non sapevano nulla.
Nel 1938 la casa editrice Rütten & Loening era arrivata a un accordo con Allen & Unwin, l’editore inglese, per pubblicare una traduzione de Lo Hobbit in tedesco, ma prima della pubblicazione inviò una lettera allo scrittore chiedendogli se era di ascendenza ariana:
Godiamoci la risposta di Tolkien.
“ Temo di non aver capito chiaramente cosa intendete per arisch. Io non sono di origine ariana, cioè indo-iraniana; per quanto ne so, nessuno dei miei antenati parlava indostano, persiano, gitano o altri dialetti derivati. Ma se volevate scoprire se sono di origine ebrea, posso solo rispondere che purtroppo non sembra che tra i miei antenati ci siano membri di quel popolo così dotato.
Il mio bis-bis-nonno venne in Inghilterra dalla Germania nel diciottesimo secolo: la gran parte dei miei avi è quindi squisitamente inglese e io sono assolutamente inglese, il che dovrebbe bastare. Sono sempre stato solito, tuttavia, considerare il mio nome germanico con orgoglio e ho continuato a farlo anche durante il periodo dell’ultima, deplorevole guerra, durante la quale ho servito nell’esercito inglese.
Non posso tuttavia, trattenermi dall’osservare che se indagini così impertinenti e irrilevanti dovessero diventare la regola nelle questioni della letteratura, allora manca poco al giorno in cui un nome germanico non sarà più motivo di orgoglio”.
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