Altra serie di patteggiamenti per la vicenda dei falsi vaccini contro il Covid-19 per ottenere il Green Pass, con trentasette no-vax che ieri (20 luglio) hanno patteggiato otto mesi per reato di falso e un anno e otto mesi per i casi in cui al falso si aggiungeva la corruzione, chiudendo così la loro posizione all’interno dell’inchiesta “Red Pass” che, coordinata dal pm Ciro Alberto Savino ed eseguita dalla Guardia di Finanza, ha portato all’arresto delle dottoresse Chiara Compagno e Marcella Gennari.
Nuovi cinquanta patteggiamenti – già definiti – sono successivamente attesi per il 14 settembre, quando è già stata fissata la data per l’udienza preliminare, mentre prossimamente dovrebbero arrivare novità sui restanti cinquanta patteggiandi a cui nelle scorse settimane è stato notificato l’avviso di chiusura indagini, mentre sono un centinaio circa quelli che non hanno già confessato come altri e che dicono di non essere loro quelli ritratti nei video della guardia di finanza: per loro a breve arriverà il 415 bis.
Dopo l’estate, il pm Ciro Alberto Savino – titolare del fascicolo di indagine – deciderà poi se rinviare o meno a giudizio anche le due dottoresse Chiara Compagno e Marcella Gennari, indagate per i reati di corruzione, peculato, truffa ai danni dello Stato e falso.
Lo stesso farà per la vicenda relativa ai cinque sanitari no-vax che si sono presentati all’hub vaccinale della fiera accompagnati da un avvocato, contestando procedure e modulo del consenso informato e chiedendo al medico vaccinatore di sottoscrivere una dichiarazione da loro predisposta come condizione per la somministrazione. La Procura, dopo la segnalazione proveniente dall’Ausl, aveva infatti aperto un fascicolo per l’ipotesi di reato di interruzione di pubblico servizio, e il pm Ciro Alberto Savino aveva delegato i carabinieri per svolgere ulteriori attività investigative e approfondire nel dettaglio cosa fosse avvenuto e se davvero vi fosse stata una effettiva interruzione del servizio di vaccinazione.
Infine è attesa anche la fissazione dell’udienza preliminare per il neurologo Roberto Dallari, accusato di omissione di soccorso per la morte di Mauro Gallerani, 68enne di Corporeno colpito dal Covid-19 che aveva preso in cura domiciliare e poi deceduto dopo un mese di ricovero ospedaliero.
Dallari – un medico volontario del gruppo Ippocrate.org, però non coinvolto in questo caso – usò il protocollo di cura propagandato come efficace dal sito, che prevede l’uso di ivermectina e idrossiclorochina. Si rapportò con Gallerani – che aveva posizioni contrarie al vaccino ed entrò in contatto con lui tramite un’amica – solo via messaggi. Il medico prese in carico Gallerani il 25 agosto 2021, ma le sue condizioni precipitarono e il 3 settembre venne portato dalla sua amica all’ospedale, in condizione molto critiche, con la saturazione a 57. Al Sant’Anna di Cona provarono a salvarlo, ma il 7 ottobre, dopo un mese di ricovero, morì. Fu lo stesso ospedale a segnalare la situazione alla Procura.
Il pm Ciro Alberto Savino ha indagato il medico inizialmente per l’ipotesi di reato più grave, quella di omicidio colposo dovuto all’uso di una cura non adeguata. Gli accertamenti tecnici eseguiti, da quanto si apprende, non hanno stabilito l’esistenza di un nesso univoco tra la cura errata e il decesso del paziente, che aveva anche altri gravi problemi di salute, né hanno potuto dare la necessaria certezza, richiesta dalla giurisprudenza, che la cura ‘standard’ lo avrebbe sicuramente salvato, anche se la probabilità stimata è più elevata. Però, secondo la procura, quel metodo di gestione del paziente a domicilio e tramite messaggi via WhatsApp non rispettò la diligenza richiesta a un medico e costituirebbe un’omissione di soccorso.
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