Attualità
29 Gennaio 2023
Inaugurata la mostra, visitabile fino all'11 febbraio, per ricordare lo sterminio degli omosessuali durante l'olocausto. Macario (Arcigay): "Le discriminazioni di oggi hanno radici profonde"

Ferrara ricorda l’omocausto sulle tracce del dottor Fadigati

di Redazione | 3 min

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Si stima siano state 50 mila le persone omosessuali deportate nei lager, ed è per ricordarle, insieme ai 6 milioni di ebrei, 1 milione di rom, oppositori politici, criminali, persone con disabilità, che Arcigay Ferrara ha portato alla biblioteca Bassani la mostra di Roberto Carrara e Luciana Passaro ‘Sulle tracce del dottor Fadigati- Immagini e luoghi interiori IERI | OGGI’, inaugurata nella mattinata di sabato 28 gennaio e che sarà visitabile fino all’11 febbraio.

Ha preceduto la mostra un intervento di Manuela Macario, presidente di Arcigay Ferrara che ha parlato dell’omocausto, il termine con il quale si definisce l’olocausto delle persone omosessuali: “Ricordarlo in occasione della giornata della memoria non vuole assolutamente offuscare l’orrore di 10 milioni di vittime, ebrei, rom, oppositori politici, militari, ma ha lo scopo di mantenere vivo nella memoria il fatto che ciò che avviene oggi ha radici profonde, e le discriminazioni verso le persone LGBTQ ci sono ancora oggi”.

All’incontro ha partecipato, in rappresentanza dell’amministrazione comunale, Micol Guerrini, assessora alle politiche giovanili: “Ho un legame particolare con Bassani, a cui devo il mio nome. Vi ringrazio oggi per dare l’opportunità di ricordare un lato della giornata della memoria che non sempre viene trattato, che è lasciato in disparte”.

Macario poi, non come storica ma come appassionata, ha tracciato il contesto storico dell’omocausto: si stima che nei campi siano stati deportati 50 mila uomini omosessuali, identificati da un triangolo rosa. È un  numero che sembra infinitesimale, ma che però è significativo perché anche l’omosessualità, che all’epoca era considerata un crimine, è stata oggetto di persecuzione. In Germania, come in altri Paesi, vi era una legge che vedeva come reato l’omosessualità maschile, cosa che l’Italia non aveva: mai nessuna legge scritta ha condannato le persone omosessuali. Elemento di fregio? No, non era prevista una condanna dalla legge semplicemente perché nella cultura fascista gli italiani erano uomini veri, e gli uomini veri non potevano essere omosessuali. Per cui cosa succedeva a chi deviava da questa certezza assoluta di mascolinità? Veniva portato al confino, costretto ai lavori forzati, in condizioni di vita terribili, senza avere nessun contatto con il mondo e con i propri legami affettivi, causando il completo oscuramento della persona. Il ritorno dal confino è stato per alcuni anche peggiore del confino stesso, perché il marchio di omosessuale ha continuato ad agire anche dopo, ed ha portato alcuni al suicidio, come il personaggio del romanzo di Bassani. Diverso era il trattamento per le donne lesbiche, identificate da un triangolo nero.

È, secondo Manuela Macario, “coraggiosissima la storia che Bassani scrive nel 1958, ‘Gli occhiali d’oro,’ perché non vi è un giudizio morale verso il protagonista, Athos Fadigati, la cui storia è ispirata a quella di un medico che realmente ha vissuto a Ferrara e di cui abbiamo notizia del suicidio. Anzi, attraverso il personaggio del narratore, che continua a rispettare Fadigati per ciò che è, che non lo isola come hanno fatto tutti gli altri, intravedo uno sguardo di Bassani già molto avanti nel tempo e nella storia, di chi ha la consapevolezza che siamo tutti diversi, e può toccare a tutti.  Questo è il senso di quell’immenso romanzo che è ‘Gli Occhiali d’oro’, che per la sua delicatezza è un romanzo potentissimo”.

Nella mostra gli autori, Luciana Passaro e Roberto Carrara, hanno voluto creare un parallelismo tra ieri e oggi, riprendendo immagini dal film omonimo di Giuliano Montaldo e scatti attuali, per tracciare un percorso che mostri il profondo cambiamento culturale avvenuto.

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