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14 Luglio 2022
Ovvero come la libertà di postare tutto sui social può avere un conto piuttosto salato

Gianluca Vacchi: il Tfr della “filippina” e la gabbia di vetro

di Redazione | 3 min

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Gianluca Vacchi è certamente un uomo molto social. Balletti, scenografie, trovate curiose: tutto per celebrare se stesso e uno stile di vita che è sintetizzato dall’espressione inglese “Enjoy!”, ovvero “Goditela”.

Negli anni Vacchi ha costruito la propria fama riempiendo i social di questi contenuti, divertenti e frivoli, perfetti per essere visti in un minuto e dimenticati in quello successivo.

A questo si aggiungono i materiali più “personali” legati alla propria sfera intima, famigliare, che in qualche modo hanno l’obiettivo di avvicinare il personaggio agli utenti.

Coerente con questo obiettivo è anche l’operazione messa in piedi con Amazon Prime, la piattaforma di streaming dell’omonimo ecommerce, che di recente ha rilasciato una serie dedicata al rampollo emiliano-romagnolo, descrivendo la sua vita, la sua quotidianità.

Del resto, la rete ha sempre più fame di contenuti real, che aprano porte che altrimenti sarebbero escluse dalla curiosità di tutti.

Tuttavia, il progetto sembra essere stato minato da uno scandalo che ha polarizzato la rete.

Una dipendente domestica di Vacchi, ha, infatti, citato in giudizio l’influencer per un presunto mancato versamento del Tfr e straordinari non pagati.

Questo ha sollevato la rete, che come sempre ha velocemente condannato Vacchi, senza se, senza ma e con molti meme a lui dedicati.

Addirittura, molti hanno minacciato di essere disposti a rinunciare al proprio abbonamento se la serie su Amazon di cui sopra non verrà sospesa (minaccia di cartapesta, chi mai rinuncerebbe al servizio di consegne più efficiente del mondo? Ma tant’è…).

Insomma, l’uragano social è servito e come al solito è stato breve, sporco e rumoroso.

Al netto della vicenda in sé, che nel caso sarà risolta nelle sedi competenti e con gli strumenti più adeguati, l’elemento interessante è un altro, più “leggero” ma non per questo meno rilevante.

Il caso Vacchi racconta perfettamente il complesso della “gabbia di vetro”, realizzato e amplificato dalla svolta social che tutto il mondo da qualche anno a questa parte ha subito.

Partiamo da una constatazione: il web è guardone.

La maggioranza degli utenti apre Facebook, Instagram e altro o per far sapere agli altri cosa sta facendo o per vedere quello che gli altri fanno.

Gli influencer sfruttano questo meccanismo al quadrato: la loro clamorosa presa sul pubblico dipende anche da questo, dalla capacità di mostrare se stessi nel modo più naturale possibile il più possibile.

Da qui serie intere dedicate a problemi di coppia o altre amenità che permettano a chiunque di rovistare nel torbido (o di avere almeno l’illusione).

Il problema è che questo ha un prezzo, quello della trasparenza: non esistono più pareti e neppure tappeti sotto cui nascondere scheletri veri o presunti.

Il che diventa molto rischioso quando in gioco ci sono questioni che esulano dalle leggerezze social: finché ci si deve mostrare nella propria quotidianità va bene, ma in una gabbia di vetro tutto si vede e tutto diventa motivo di discussione.

Anche perché la tendenza è sempre e fatalmente quella di alzare l’asticella e di voler spiare sempre di più, anche per affilare le lame delle proprie invettive da haters.

E all’improvviso ciò che diventa un passatempo leggero (i social) diventa una faccenda terribilmente seria (minacce, diffamazioni, fake news, etc.) che possono avere effetti sulla vita reale dell’interessato – e non solo – notevoli.

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