Du iu śpich frares?
2 Marzo 2022

“Na matina dal ’44”. La poesia e la storia di ieri e di oggi

di Redazione | 4 min

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Quando la poesia si interfaccia e ricorda la storia. Il Professor Alberto Ridolfi, anche per rammentare il cinquantenario dell’ Olocausto, scrisse ‘Na matina dal ’44, poesia-cronaca, pubblicata in un suo libro: “Fóra dal témp”, dedicandola ad un Eroe Ebreo sconosciuto. L’uomo, certo Ancona, forse era riuscito a sfuggire ai tragici, infami, rastrellamenti nazifascisti? Il destino volle che perisse poi, per salvare Alberto. I familiari di Ridolfi, mi hanno confermato la veridicità della cronistoria, che pure lui ricordava spesso, a noi amici del “Tréb dal Tridèl”. 

L’attualità tragica di questi giorni, ci ricorda che anche noi Italiani abbiamo avuto un “Putin”, si chiamava: Benito Mussolini. Triste realizzare che nostalgici, probabilmente molto ignoranti di storia e del dolore che causò, lo rimpiangono e, vorrebbero far resuscitare il mito fascista dell’ “uomo forte al comando”.

Io sono uno degli ultimi testimoni viventi di quella guerra che, voluta dal Duce e dai suoi finanziatori-fiancheggiatori. Ho avuto morti in famiglia. Problemi di casa, fame, mancanza di lavoro per mio padre. La cosa più dolorosa, la morte di mia madre di trentatré anni e di una cugina, diciassettenne, di Bondeno, per mancanza di antibiotici che le avrebbero salvate. Purtroppo i medicinali nel dopoguerra scarseggiavano e la povera gente moriva anche per banali malattie. Perdemmo anche un mio giovanissimo zio: Gualtiero Musacchi, partito per il fronte russo e mai più tornato. Quel conflitto causò morti dirette e indirette: ragazzi mandati a morire soldati, senza neppure sapere perché. Gente che decedeva, appunto, di malattie, fame e bombardamenti.

 Io ho bene in mente, nonostante fossi bambino: le sirene, il fischio macabro delle bombe, prima delle esplosioni. Il pianto e il terrore della gente ammassata, dopo l’urlo delle sirene, in rifugi, noi cittadini sfollati, là in campagna di Aguscello. Erano enormi buche rettangolari ricoperta di assi di legno e sopra terra con piante di grano o altro. Non ci proteggevano dalle bombe, ma erano mimetizzanti alla vista dei famosi aerei spia: i famigerati “Pippo”.

La cronaca terribile di questi tristissimi giorni, chi come me ha subito, lutti e terrore, non può fare a meno di ricordare che l’Italia subì una guerra con conseguenze tragiche a livello di esseri umani e disastrosa per le perdite di case, fabbriche perfino tantissimi monumenti storici. Argenta rasa al suolo come Pontelagoscuro, Ferrara Portomaggiore e tanti altri paesi, borghi ferraresi feriti gravemente dai bombardamenti.

Ora, un altro criminale dittatore, ha scatenato un terribile conflitto non lontano da noi. Quando finirà questa ennesima follia?

 Coraggio Ucraina! Maurizio Musacchi

‘NA MATÌNA DAL “44 *

Di Alberto Ridolfi.

Quand à sunà l’alàram, cmè tant vòlt,

tùti fóra da scòla, sal Listóƞ ;

po’ sù par Saƞ Rumàƞ, Piàza Travàj

mó piàƞ pianìƞ, cuntént par l’ucaśióƞ

ad far du pass, in clà bèla matìna.

Ma chì ‘sta vòlta, coƞ ‘na graƞ rùza cùpa,

tant aeroplàƞ iƞ ziél e po’ l’scuƞquàs. 

Artupà sòta ‘n vòlt, còƞ j òć iƞspulvracià,

‘n udór ad fum e, insiém , saƞgh e calzìna,

am sóƞ truvà con uƞ ché l’am tgnuséva,

Ancòna forse, mò al nóm an al sò più,

ch’al stava dentr’al Ghétt e ch’al gniśéva,

a tór la mzèla da mié zio furnàr.

“Ti métat zó, ch’at stà più riparà”.

E intànt ché al dìś acsì l’am càsaca adòs

con di straƞgùj e un trèmit dapartùt

ché l’è durà pr’uƞ póch, po’ l’è finì.

Quàn ché i m’à tirà su, tut spórch ad saƞgv,

i cardéa ch’al fus mié, che mi a fus frì.

La frìda mi agh l’ò sémpar, mò int la mént;

parché mi spés, iƞcóra, dop tant ann,

am śmìsi ad not col trèmit su la schìna.

E péns ché quél ch’à sóƞ ch’a sóƞ dvantà, 

al dév àƞch a cl’Ebrèj ch’l’è mort acsì,

in clà matìna ad sól, adòs a mì,

dand la sò vìta par salvàr la mié.

*Gennaio 1995 – Cinquantenario dell’Olocausto.

UNA MATTINA DEL “44

Di Alberto Ridolfi

Quando suonò l’allarme, come tante volte,/tutti fuori da scuola, verso il “Listone”*;/poi su per San Romano* e Piazza Travaglio*/ma pian piano, contenti per l’occasione/di far due passi in quella bella mattina./Ma stavolta, con una gran ronzio cupo/tanti areoplani in cielo e poi lo sconquasso./Raggomitolato sotto un portico, con gli occhi impolverati,/ un odore di fumo, insieme di sangue e calcina, /mi son ritrovato con una persona che mi conosceva./ Ancona forse, ma il nome non ricordo più, abitava nel Ghetto e veniva, a comprare la “zmèla”* da mio zio fornaio. “Tu mettiti giù, che starai più al riparo”./ Intanto che diceva così, mi cadde addosso, con dei singulti e tremando dappertutto, durò poco, poi tutto finì./Quando mi alzarono, sporco di sangue,/ credevano fosse il mio, che fossi ferito./ La ferita io l’ho sempre in mente;/perché, spesso, ancora dopo tanti anni,/ mi sveglio di notte col tremito sulla schiena./ Penso che quel che sono, e sono diventato, /lo devo a quell’Ebreo ch’è morto così, /in quel mattino addosso a me, /donando la sua vita per salvare la mia. 

Varie note per i non ferraresi. “Listone”- Oggi Piazza Trento Trieste.

Luoghi storici San Romano di negozi o mercati Piazza Travaglio.

“La zmèla” era l’impasto per il pane azzimo ebraico, senza lievito.

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