Parlare di carota significa parlare di Ferrara. In Emilia Romagna sono circa 2.000 gli ettari dedicati a questa orticola, prodotto tipico per eccellenza del territorio ferrarese. Il Basso Ferrarese, grazie alle caratteristiche dei terreni, sabbiosi e/o di medio impasto, è ideale per tutte le orticole, prodotte a ciclo continuo nelle campagne di Mesola e Codigoro.
Luisito Naldi, componente della Sezione Orticola di Confagricoltura Ferrara e da sempre produttore di orticole in Valle Giralda: “Purtroppo ogni anno diventa più difficile per noi coltivare carote. Siamo senza strumenti di difesa soprattutto contro l’alternaria che colpisce anche questa orticola per il mancato rinnovo dell’utilizzo di sostanze utili a combattere le più gravi fitopatologie e i principi sostitutivi non si dimostrano efficaci. Negli ultimi anni si è aggiunta un’infestante, (simil erba cipollina, che tale non è) sempre più invasiva, che causa danni a tutte le colture orticole, in particolare alla carota. Un problema – prosegue Naldi – che si aggiunge agli effetti della pandemia, la chiusura di mense aziendali e scolastiche, di ristoranti, trattorie, alberghi e l’annullamento di cerimonie ed eventi, ha di fatto bloccato la richiesta di prodotto. Da fine dicembre non riusciamo a consegnare il raccolto, che non viene neppure ritirato dai nostri distributori perché il mercato non lo richiede. Ferma anche la vendita del nostro radicchio e di altre orticole invernali. Ad oggi abbiamo ancora più del 40% di carote da raccogliere e non c’è più tempo, ancora una quindicina di giorni poi tutto andrà perso vanificando lavoro, soldi e fatiche. Il ciclo colturale deve proseguire, dopo le carote nei terreni sarà tempo di orzo e poi di patate ecc. Quanto dovremo ancora rimetterci? Dopo un 2020 vissuto col fiato sospeso per la produzione delle carote estive (posticipo dell’epoca di raccolta), timori per la commercializzazione (non potevamo certo conoscere l’evoluzione della pandemia) e i conseguenti temuti blocchi dell’export poi fortunatamente risolti, oggi lavoriamo ancora nell’incertezza più assoluta. Noi agricoltori sappiamo lavorare la terra e non temiamo la fatica, ma siamo senza strumenti di difesa di fronte al blocco del mercato. Aggiungo che – conclude Luisito Naldi – da anni si parla di tutelare i nostri prodotti agricoli e il made in Italy, ma non è possibile che a noi produttori spettino pochi centesimi al Kg mentre sui banchi della grossa distribuzione i nostri prodotti vengano venduti a dieci volte tanto; su di noi gravano tutti i rischi colturali, ma alla fine il prodotto all’origine è sempre sottopagato, mentre continuano ad entrare nel nostro Paese carote e molti altri prodotti agroalimentari di dubbia provenienza, coltivati senza le nostre rigide normative, sia sotto l’aspetto sanitario che per quanto riguarda la tutela della manodopera. Ora la pandemia ci ha tolto anche queste entrate; quanto potremo andare avanti e l’invenduto, chi lo ripagherà?”
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