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1 Febbraio 2021

Addio al grande Iosè Peverati

José Peverati premiato al concorso Mario Roffi
di Maurizio Musacchi | 3 min

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José Peverati premiato al concorso Mario Roffi

José Peverati premiato al concorso Mario Roffi

Cari amici del dialetto, una brutta notizia: in questi giorni, Iosè Peverati ci ha lasciati.

Iosè ha scritto centinaia di cose in versi: poesie serie, ironiche, “zirudèle”, favole, filastrocche. Ha tradotto in ferrarese opere di svariati grandi autori.

Ha lavorato e collaborato con Romano Baioini, Floriana Guidetti e altri, per la pubblicazione di un grande Vocabolario del Dialetto Ferrarese. Fu il primo storico presidente de “Al tréb dal Tridèl” (il prestigioso Cenacolo del dialetto ferrarese).

Stimato e amato nella sua Portomaggiore, dove abitava da sempre con l’adorata moglie Anna. Aveva scritto “zirudèle”, racconti e altro d’ironico, con grande maestria. Ottenne numerosi premi letterari. Nacque a Modena, da genitori ferraresi (ma per caso, si sentì sempre legato alla “sua” Portomaggiore) il 6 marzo 1927.

Si laureò a Bologna in medicina e si specializzò in pediatria. “A j’ér al dutór dì putìƞ”, diceva con gioia entusiasmo. Esercitò tale nobile professione in Portomaggiore, pare con tanta riconoscenza da parte della gente.

Per ricordarlo, vi propongo una sua magnifica poesia:“Am druvèv stasìra”? Tratta dall’antologia dei poeti de “Al tréb dal Tridèl”: “Par Fràra col dialèt” del 1998, voluta da dal maestro Dino Tebaldi. Lirica “di testimonianza” stupenda nel suo significato conciso.

Vi sono concetti gergali poco conosciuti: “druvèv”? nel senso di “mi usate per far l’amore”. Immagine realisticamente amara di come era considerata la donna nel secolo scorso. “Ill burdigàva”, nel senso di “lavoravano allo stremo”. “Am métia i mudandùƞ o la camìśa”? Mi copro (vesto), così potrò dormire? L’uomo decideva se “usarla”. Di quel corpo poteva decidere che farne, utilizzarlo sessualmente o no, l’opinione della moglie, che fosse stanca, che desiderasse lei di fare l’amore a lui non importava.

Per tanti uomini (non tutti per fortuna), la donna era macchina da lavoro, sesso e compagnia. Peverati volle, in tal modo, testimoniare e far ricordare la condizione di vita della donna; in fin dei conti solo pochi decenni fa. Addio Iosè e grazie di tutto. 

AM DRUVÈV STASÌRA ?

(Di Iosè Peverati).

Uƞ témp quand ill filàva, ill nostri nònn,

ill tséva lùƞghi tél, ill ricamava

laƞzó e sugamànìƞ e po’ j’urnàva

con l’órl a gióran, tut ch’iill bràvi dònn…

 

Ill burdigàva fiƞ ch’ill jéra bòn…

Quànt iƞcumbénz e quànt lavór ill fàva.

Aƞch s’ill jéra stufi, mai il s’ lamaƞtàva,

às purtànt dlà famié, trav e colonn…

 

E quànd d’aƞdàr a lét a gnéva l’óra

la dmàƞda pr’al so’ òm l’éra precisa,

ma uƞ póch cuƞfùśa tut ill vòlt iƞcóra,

 

sémpliz ufèrta ad spóśa ch’la suspìra:

“Am métja i mudaƞdùƞ e la camìśa

o gh’iv digl’idèi ad gnìram adré, stasira ?

 

(Traduzione). MI VOLETE STASERA ?

Ai tempi in cui filavano le nonne / tessevano lunghe tele, ricamavano / lenzuola ed asciugamani e li adornavano / con l’orlo a giorno, le solerti donne. / Si impegnavano fino all’impossibile / e per troppe incombenze si industriavano. / Se stanche morte, non si lamentavano / travi portanti e solide colonne … / Quando giungeva l’ora del riposo / a bassa voce e tanta discrezione / pudica era la solita sincera / e semplice domanda per lo sposo: / “Indosso le mutande e il camicione? / Quali intenzioni avete questa sera?”

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