Cronaca
9 Ottobre 2020
Aggiornata a gennaio l'udienza preliminare sulle violenze che tre operatori della Penitenziaria avrebbero commesso contro un detenuto all'Arginone

Tortura in carcere: un imputato sceglie l’abbreviato, il Ministero entra nel processo

di Daniele Oppo | 3 min

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Il Ministero della Giustizia si è costituito come responsabile civile nel procedimento per la presunta tortura che sarebbe avvenuta il 30 settembre del 2017, nella cella numero 2 del carcere di Ferrara, ai danni del detenuto Antonio Colopi.

Nell’udienza di giovedì 8 ottobre davanti al gup Danilo Russo uno degli imputati ha scelto il rito abbreviato mentre gli altri tre hanno scelto di proseguire con l’udienza preliminare che è stata aggiornata al 14 gennaio dell’anno prossimo.

In quella data, dunque, si discuterà (e probabilmente verrà anche definito) l’abbreviato per l’assistente capo di Polizia penitenziaria Pietro Licari, difeso dall’avvocato Giampaolo Remondi, mentre il sovrintendente Geremia Casullo (difeso dall’avvocato Alberto Bova), l’assistente capo Massimo Vertuani (avvocato Bova) e l’infermiera Eva Tonini (difesa dall’avvocato Denis Lovison) discuteranno il rinvio a giudizio chiesto dalla pm Isabella Cavallari.

Secondo l’accusa, i tre poliziotti penitenziari avrebbero picchiato Colopi (parte civile per il tramite dell’avvocata Paola Benfenati del Foro di Bologna) durante una perquisizione di natura arbitraria. Casullo sarebbe stato il primo a entrare nella cella e, dopo aver fatto togliere al detenuto alcuni vestiti, lo avrebbe fatto inginocchiare per poi sferrargli dei calci allo stomaco. Poi lo avrebbe fatto spogliare ancora e gli avrebbe dato altri colpi allo stomaco, alle spalle e al volto, anche con l’utilizzo del ferro di battitura (che serve per controllare le inferriate).

Colopi avrebbe reagito, dando una testata a Casullo, rompendogli gli occhiali e per questo sarebbe stato minacciato e colpito ancora, fino a rompergli l’incisivo superiore. Dopo aver invocato l’intervento del comandante del reparto, sarebbe stato minacciato di morte con un coltello rudimentale puntato alla gola, passato a Casullo dal collega Licari. Quest’ultimo avrebbe fatto ingresso in cella e picchiato a sua volta Colopi. Ai tre si sarebbe aggiunto infine Vertuani.

Secondo la ricostruzione degli inquirenti, finito il pestaggio, la vittima sarebbe stata lasciata ammanettata e seminuda in cella, sino a quando non sarebbe stata notata dal medico del carcere durante il giro ordinario, almeno un’ora dopo i fatti (e poi sarebbe stato medicato dopo tre ore circa).

“Un trattamento – scrive la pm Isabella Cavallari nella richiesta di rinvio a giudizio inumano e degradante per la dignità della persona”.

Casullo e Vertuani sono anche accusati di falso per aver redatto dei rapporti considerati non veritieri sull’accaduto: ad esempio, non avrebbero fatto menzione né delle manette, né delle lesioni del detenuto (poi giudicate guaribili in 15 giorni), né del fatto che Colopi venne denudato e lasciato ammanettato e in mutande. Inoltre avrebbero scritto il falso affermando di aver immediatamente avvisato l’ispettore di sorveglianza, che invece sarebbe stato attivato solo un’ora dopo e solo al passaggio del medico.

Sempre i due sono anche imputati per calunnia nei confronti di Colopi, per averlo accusato di resistenza a pubblico ufficiale, pur sapendolo innocente.

Per l’infermiera Tonini l’accusa è di aver scritto il falso nelle comunicazioni infermieristiche e dichiarato il falso ai carabinieri nel Nucleo investigativo nel tentativo di aiutare Casullo, Vertuani e Licari e sviare le indagini nei loro confronti.

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