“No ai processi mediatici” prende posizione la Camera Penale Ferrarese. Ma “furono proprio le Camere Penali nella loro massima espressione ad alzare la loro voce per i diritti negati di Stefano Cucchi. Non potrò mai dimenticarlo” replica a distanza Ilaria Cucchi. Il riferimento è alla richiesta di archiviazione di una querela per diffamazione.
“Stefano Cucchi, il detenuto i cui diritti negati sono stati oggetto di vibranti e perentorie denunce da parte delle Camere Penali, viene definito ‘una gallina dalle uova d’oro’ per il fatto di essere stato pestato a morte in stato d’arresto” ricorda la sorella, citando le “parole offensive e brutali che vengono pronunciate da una persona di cultura. Un medico che le rende volontariamente pubbliche postandole sulla pagina Facebook di un sindacato di polizia”.
Lo stesso autore – il medico copparese Giuseppe Buraschi che aveva lasciato il commento sui social del Sap – “si rende conto poi di aver sbagliato, quando viene interrogato durante le indagini, e si dichiara disposto a chiederci scusa. Poi, invece, sappiamo come è andata. Il procuratore della Repubblica di Ferrara ha voluto sollevarlo da quest’onere ritenendole, evidentemente, confacenti alla mia “vita pubblica”. Per me semplicemente inaccettabile”.
“Ma io rispetto profondamente la Camera Penale di Ferrara. Se si preoccupa per le sorti di questo processo che processo nemmeno è ancora io mi dichiaro tutt’ora disponibile ad accettarle, quelle scuse, ed a perdonare. Non voglio influenzare o condizionare nessun processo” sottolinea Ilaria Cucchi che si dice “dispiaciuta per l’avvocato che difende il medico che ha insultato me e la mia famiglia. Sono rispettosa per il suo ruolo ma altrettanto certa che non potrà non comprendere le ragioni della nostra battaglia di verità e giustizia per Stefano. In fin dei conti ha presieduto la stessa Camera Penale ferrarese fino a poco tempo fa ed oggi ne è “responsabile osservatorio Carcere”. Non può non capirmi. Subito dopo l’uccisione di mio fratello Stefano, mentre io ed i miei genitori eravamo costretti a riconoscerlo all’obitorio in quelle terribili condizioni, ne era nel frattempo stata già diagnosticata e certificata “la morte naturale”. Se non ci fossero stati la nostra pubblica denuncia ed il clamore successivo, tutto si sarebbe chiuso lì”.
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