Favoreggiamento personale e ricettazione. Sono i reati di cui è accusata ‘mamma Rosy’, Ruzena Sivakova, la madre di Patrik Ruszo, uno degli autori dell’omicidio di Pier Luigi Tartari condannato all’ergastolo.
Le accuse mosse dal sostituto procuratore Ciro Albero Savino che ha recentemente chiuso le indagini – il 415 bis è stato notificato alla diretta interessata il 16 maggio – nascono proprio dal processo Tartari: i giudici della Corte d’assise di Ferrara l’avevano individuata addirittura come possibile basista della rapina, rinviando comunque le carte alla procura dando indicazioni più dirette sulla falsa testimonianza (dalla quale nasce la contestazione per favoreggiamento) e la ricettazione.
In quella sede Sivakova aveva infatti affermato il falso sia su alcuni momenti della rapina – dicendo di non aver visto nulla – sia sul coinvolgimento del figlio in essa. In udienza, sentita come testimone perché faceva la badante in una vicina abitazione, aveva detto “non sentito nulla, nulla di nulla”, affermando che la siepe divisoria le avesse impedito la vista. Un fatto che secondo la procura non è vero, anche perché in contraddizione con quanto da lei stessa raccontato a un’altra testimone – alla quale disse di aver sentito il povero Tartari urlare “lasciatemi in pace, cosa volete da me?” e al suo compagno, a cui raccontò di aver sentito il pensionato gridare “non ho niente” dall’interno dell’abitazione. Ma anche a Pajdek – che affermò di essere stato perfino visto dalla Ruzena mentre andava e veniva da casa Tartari – chiese conto sia dell’esisto della rapina sia del perché aveva sentito tutto quel trambusto.
Inoltre, e qui nel tentativo di far credere di non essere a conoscenza del ruolo del figlio, disse ai giudici di non ricordare cosa le avesse detto qualche giorno dopo il tragico colpo la cugina Agata Farkasova (al momento irreperibile, anche lei indagata per favoreggiamento personale proprio per aver affermato falsamente in udienza di non aver saputo del coinvolgimento del nipote Ruszo, mentre aveva raccontato il contrario alla Squadra Mobile) circa la partecipazione del figlio nella rapina e nell’omicidio. Invece fu proprio quello il momento in cui apprese del suo coinvolgimento, ragionando anche sulla necessità che espatriasse per fuggire alla cattura e alla condanna.
Inoltre, a testimonianza del suo coinvolgimento con la banda (tant’è che Ivan Pajdek, il capo, condannato a trent’anni, fece intendere che fu lei a suggerire l’abitazione del pensionato), ‘mamma Rosy’ custodiva un televisore a schermo piatto, rubato pochi giorni prima durante un colpo alla casa di cura Salus e per questo è indagata anche per ricettazione.
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