di Ilaria Baraldi
Una delle lezioni che ho imparato quasi subito, da che ho deciso di impegnarmi in politica, è che per quanto tu sia di sinistra, o creda di esserlo, ci sarà sempre qualcuno più a sinistra di te che darà la patente di sinistra e definirà il grado di sinistra cui appartieni.
Tutto ciò è incredibilmente legittimo e ottimamente democratico, non fosse che spesso chi è più a sinistra finisce col credersi e definirsi così di sinistra da detestare i suoi prossimi, quelli “un po’ meno di sinistra”, più di quanto detesti gli avversari veri.
Ho sempre rifiutato la logica del “non ci sono alternative”, sciroppo amaro per mandar giù l’inevitabile. È un argomento che non ho mai usato e che non accetto si usi per convincere me. Preferisco la sfinente fatica del dialogo e del confronto continui, anche quando non approdano a nulla.
Ci sono tante, tantissime persone che vivono l’impegno politico unicamente per difendere o affermare principi e ho sempre creduto che a queste persone sia ingiusto chiedere l’accettazione di compromessi che quei principi possano mettere in discussione.
La politica che non vuole restare principio, ma trasformarlo in azione concreta attraverso l’amministrare e il governare, sa però che la democrazia si fonda sul compromesso come conciliazione di pretese differenti, non necessariamente opposte, attraverso reciproche concessioni. La nostra stessa Costituzione è frutto di molti compromessi e credo nessuno li abbia mai giudicati al ribasso.
Non ricorrerò pertanto alla mancanza di alternative per chiedere se davvero questo sia (ancora) il momento per vedere il “nemico” nel PD e per attaccarlo come fosse causa e origine di ogni male del nostro paese e oltre.
A volte quando non si riceve risposta, occorrerebbe interrogarsi su come è posta la domanda. Se le domande sono poste in maniera accusatoria e iperbolica, volutamente trascurando alcuni aspetti (e fatti) ed enfatizzandone altri, si cerca lo scontro, non il confronto. Si sarebbe potuto, ad esempio, citare un fatto, ossia che le operazioni Mare Nostrum e Triton, sotto i governi Letta e Renzi, hanno salvato dalla morte migliaia di persone.
Non citerò Pasolini, non citerò Calvino, perchè vorrei non mi si chiamasse in causa citando Revelli, non avendo mai occupato un ufficio climatizzato né firmato nessuna condanna a morte, come non l’hanno fatto i militanti e gli iscritti del partito che rappresento, da alcuni mesi, a livello locale. Al contrario, posso rivendicare, per quanto detesti l’autobiografismo, di aver sempre osteggiato le scelte del Ministro dell’Interno Minniti, pur appartenendo allo stesso partito.
Quando il PD di Ferrara ha aderito alla manifestazione “Aprite i porti” del 9 gennaio scorso, in piazza Municipale, ho dichiarato pubblicamente che era arrivato il tempo di ammettere che alcune scelte politiche in materia di immigrazione del precedente governo furono fatte partendo dal presupposto che si fosse di fronte ad una situazione emergenziale e non strutturale e che avevano prodotto conseguenze gravissime, non accettabili, umanamente ancor prima che politicamente. Erano con me, con noi, in quella piazza, tanti altri democratici che manifestavano per le stesse ragioni.
Chi si è impegnato quotidianamente a trovare soluzioni a problemi di tensione sociale, crisi di vicinato, paura e timore, conflitto? Gli amministratori locali del PD, che erano e sono da anni impegnati in una politica dell’accoglienza e dell’integrazione, certamente perfettibile, tra mille difficoltà e con competenze e fondi assai limitati nello scacchiere politico internazionale e nazionale.
Erano e sono impegnati al punto tale da avere perso molti consensi, perchè cercano quotidianamente di trovare soluzioni che garantiscano i diritti di tutti ma al contempo garantiscano anche il rispetto delle regole e la tenuta sociale delle comunità, grandi o piccole che governano, comunità in cui il diffondersi dei messaggi xenofobi ha fatto danni enormi. Lo fanno senza cedere di un millimetro sul principio che nessuno deve essere discriminato.
Quello che abbiamo di fronte, che avanza, che occupa il paese, è infinitamente peggiore e ben più pericoloso (una su tutte, la legge cd “sicurezza immigrazione” tanto voluta dal Ministro dell’Interno Salvini, che già nel binomio contiene la perversa idea che l’immigrazione generi di per sé insicurezza sociale).
Per fortuna, l’Italia e Ferrara stessa sono ricche di persone, associazioni, movimenti in grado di vedere che oggi a rischio c’è l’idea stessa che finora ha retto una comunità come quella della nostra città, di cittadini consapevoli e solidali. E coloro che la mettono a rischio non sono del PD.
C’era il PD locale quando si è trattato di trovare un luogo adeguato a donne migranti in quel di Gorino, respinte con le barricate. C’era in un momento di critiche quotidiane sulla gestione dei migranti quando la Giunta ha deciso di gemellare Ferrara con Riace, atto privo di qualsiasi opportunismo elettorale, volto a rivendicare un certo modo di essere e di fare politica e di guardare al mondo.
Chiedere di unirci per fare insieme battaglie comuni, ed essere più forti, pur consapevoli delle differenze che ci distinguono, non è affatto porsi come l’alternativa meno peggiore.
Quello che occorre è il discernimento, facoltà essenziale per fare politica nell’accezione più alta e nobile del termine, ovvero occuparsi del modo migliore per vivere insieme come comunità, cogliendo le sfumature e le differenze.
C’è molta differenza tra una gestione dell’immigrazione, per quanto imperfetta, orientata all’accoglienza di esseri umani e che non transige sui principi di solidarietà e antidiscriminazione, e una ideologia che fa dei respingimenti degli sbarchi e delle morti in mare un trionfo e un argomento di permanente campagna elettorale.
C’è tutta la differenza che serve per stare, ora, dalla stessa parte.