Eventi e cultura
15 Agosto 2018
Letture e duetti improvvisati legati all'amore per la bellezza, "non compresa dalla politica"

Morgan, Sgarbi e Moni Ovadia infuocano il ferragosto in Castello

di Redazione | 3 min

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“Alle elezioni c’è da sperare che salgano i barbari della Lega, che, pur non avendo niente a che fare con la cultura, almeno si fideranno di chi sa qualcosa della bellezza”. L’irriverenza di Sgarbi, che ha scaldato la piovosa serata di ferragosto fra le sale del Castello, ha incontrato la stravaganza di Morgan e la saggezza di Moni Ovadia, in un cocktail esplosivo fra letteratura, arte, politica, musica e risate.

In comune con il cantautore milanese, l’attore e scrittore ebreo ha il legame indissolubile con la famiglia Sgarbi, l’amore per l’arte e per il bello, “quello che la classe dirigente di questo Paese sembra capire sempre meno” afferma Ovadia, riprendendo la frecciata di Vittorio, prima di leggere alcuni passi di ‘Lei mi parla ancora’, l’esordio letterario di papà Nino “pieno di grazia e impudicizia immateriale”, che alla bellezza di 95 anni ‘canta’ di come un amore può dispiegarsi per tutta una vita e oltre, “una cosa che a questo mondo non è così frequente”.

La capacità di andare oltre gli stereotipi, – “oltre l’evidente” dice Ovadia – in un mondo così “volgarmente omologato”, è del resto ciò che forgia “il coraggio di Vittorio Sgarbi” (“coi miei soldi, attraverso l’arte, sono riuscito a comprare spirito”) e fil rouge di tutta la serata, che accosta gli archetipi maschili e femminili – “io ero l’uomo, e tu il capofamiglia”, si legge con ironia fra le righe di papà Sgarbi – e il sarcasmo di Ovadia: “Venni a conoscenza di questo libro quando io e Vittorio salimmo su un aereo, un trabicolo con due piloti che occupavano tre quarti del velivolo. Eravamo stretti come due profughi albanesi. Ma lì, cascasse il mondo, Vittorio era immerso nel suo mondo, e quel viaggio mi ha permesso di leggere queste meravigliose righe”.

Ma prima di imbracciare la chitarra, non si può non passare davanti al capolavoro di Artemisia Gentileschi, che fu violentata in età adolescenziale dal pittore e amico del padre Agostino Tassi “al Quirinale – racconta Vittorio – dove lei lavorava come ragazza di bottega assieme al padre. Tassi rifiutò il matrimonio di riparazione, al quale lei sarebbe stata consenziente, e allora lo denunciò”. Una denuncia fragorosa, che le portò la fama che le ha fatto guadagnare un posto nella collezione Cavallini-Sgarbi con la sua ‘Cleopatra’ “brutalmente realistica e caravaggesca”, accostata e contrapposta alla veduta serafica e lineare del suo carnefice, apparentemente – e curiosamente – lontano dal tumulto dei sensi.

Una storia alla quale Morgan ha dedicato ‘La canzone di Marinella’ di De Andrè, non prima di aver cantato assieme a Moni Ovadia, come due compari ritrovati, ‘Il tarlo’, e aver dedicato alla memoria di Rina stralci della storia della musica italiana, dall’‘Azzurro’ di Adriano Celentano al ‘Sapore di sale’ di Gino Paoli, passando per Domenico Modugno con ‘Ciao ciao bambina’.

Un viaggio fra note, parole, bellezza e ricordi che rende onore agli ospiti della serata. Che rende immortale il sentimento. E che, di fronte al ferragosto di sangue delle strade genovesi, “non trova altro modo di celebrare la vita contro la morte, se non con l’arte”.

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