"Diventa quello che sei"
24 Giugno 2018

Mi chiamo Paula e sono nell’anticamera dell’inferno

di Francesca Boari | 4 min

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Tu, dico a te che scrivi, sei proprio sicura di volere derubare un cadavere? Forse sarebbe meglio seppellire i segreti nella notte della indifferenza, la notte del 15 febbraio dell’anno 2008.

Mi chiamo Paula. Mio padre era già sepolto quando è nato e noi con lui, tutti sepolti sotto il sole della Romania.

Notte di sangue, di orrore, di odore di male, di lacerazione, di carne trafitta, di urla lanciate nel buio di un senso rovesciato. Notte di orrore indicibile. Come se gli uomini avessero dimenticato l’abito della coscienza appeso chissà dove. Meglio… non lo avessero proprio mai indossato.

Sento il fiato salirmi in gola, affogarmi il cuore, gli occhi sbarrati, il terrore alle spalle e davanti e ovunque. Non so dove cercare, dove trovare, dove andare. Corro, corro e corro. Li sento abbaiare dietro di me. Urlano, ridono, sghignazzano. Hanno una grossa forca in mano a modi lancia e mi seguono. Sono in tanti, in quattro, forse cinque. Mi faranno male, tanto male. Mi bloccano, mi gettano a terra, sono tutti lì, di fronte a me. Formano un cerchio. Mi stringo le braccia addosso. Sento il cuore pulsare ovunque. Non mangio da questa mattina. Ho paura.

“La puttana voleva fregarci, non è così?”, ha gli occhi di fuoco mentre si avvicina con un martello in mano. Sento il suo alito fetido invadere le narici, entrarmi dentro. Sporca dentro, fuori. In questa assurda cornice di terrore. Cosa ci faccio qui? Sto sognando, è un incubo al quale non può che seguire un risveglio. Eppure le voci, gli odori, i loro corpi orribili davanti a questi occhi nudi. Tutto sembra essere proprio come è.

Mi prende la faccia con le sue mani luride e tozze, mi allarga la bocca e mi tiene bloccata a terra. Con l’altra mano, quella con il martello, mi spacca i denti. Sento solo un rumore assordante. Fa tanto male. C’è un odore terribile di odio. Mi sento venire meno. Vomito denti e un liquido giallastro. Sento crescere la loro rabbia dentro risate isteriche. Sono distesa a terra, la sua scarpa mi preme sul costato con forza, mia cugina, quella maledetta bugiarda, sta ridendo sguaiatamente

“Schiaccia quella troia, dai. Hai paura di fare male alla bambina innocente? Ammazzala che la finisce di fare casini, sta maledetta puttana”

E’ la sua voce. Sono stordita e non so se provare a rialzarmi o rimanere dove sono e aspettare il prossimo colpo. D’un tratto afferro con le unghie la caviglia di quel bestione che mi sta sopra e provo a staccargli un piede. Urla. Gli ho fatto male. Sto per rialzarmi quando un altro mi arriva addosso. E’ quello con il forcone. Mi colpisce lo sterno, una, due, tre, quattro volte. Non la smette più. Sento lo scricchiolio delle ossa. Questa è l’anticamera dell’inferno, poi? Cosa può esserci ancora ad aspettarmi? Vedo colori, luci, tutti confusi. Eco di voci non umane. Sono ancora vigile. Mi accorgo. E vorrei già essere morta perché adesso, adesso che cosa ancora? Ne arriva un altro e calcia e calcia e calcia ancora sulla mia testa come fosse un pallone sgonfio.

“Sta a te adesso, dai divertiti con questa piccola mignotta che pensava di fotterci”

“Eh sì, Paula, la piccola Paula che arriva in Italia e pensa di essere dentro al paese dei balocchi. Perché sai, bellezza, vuoi specchiarti adesso? Vuoi vedere che bella puttanella sei senza denti e con un bel forcone nella pancia? La parrucchiera, la nostra ambiziosa bambina che viene dal paese disgraziato a cercare fortuna. Lo volevi il principe azzurro? Eccolo, dai pisciategli sopra alla sgualdrina, fatele assaggiare il nettare del bel sole dell’Italia”

Gianina, Gianina sei tu? La mia cuginetta, dai capelli gialli e dal corpo esile, che mi aveva promesso di trasformarmi in una piccola principessa e darmi l’opportunità di una vita dignitosa, in un paese caldo ed accogliente, sei tu Gianina quel mostro che parla adesso? E intanto sento addosso, su quanto resta di questo corpo fragile, accumulo di ossa rotte e denti spezzati, mani e corpi sudati e puzzolenti. Non ho forza. Non voglio più vedere e non posso oltre ascoltare.

Non so nemmeno se sono già morta oppure devo ancora nascere.

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